sabato 5 aprile 2014

Vanilla Bike



Era una di quelle giornate di inizio primavera, così soleggiate e calde che sembra la Natura voglia fare un regalo; una di quelle giornate che fanno credere di essere a Maggio, anche se il calendario sostiene che Marzo non è ancora finito; uns di quelle giornate in cui è d’obbligo godere dei primi caldi raggi di sole nell’attesa che l’inverno si riproponga con un colpo di coda.
Francesca osservava il via vai della gente nella strada sotto la finestra dell’ufficio, i pensieri persi in un vagare incontrollato. Vedeva i passsanti correre, indaffarati, avanti e indietro, come tante piccole formichine operose, senza prestare la minima attenzione gli uni agli altri, tanto meno al sole che, finalmente, splendeva sopra le loro teste. Francesca non si capacitava di questa cosa, lei che stava contando ogni minuto che passava per poter correre a casa: aveva deciso che era giunto il momento di portare fuori la bici dal garage e iniziare a macinare chilometri. Aveva un obiettivo e voleva raggiungerlo. Aveva stabilito, a priori, quanti chilometri avrebbe voluto percorrere da lì all’autunno, calcolando una media settimanale, che sapeva non essere in grado di rispettare a inizio e fine stagione, ma che, si augurava, di riuscire ampiamente a superare durante l’estate, complici le giornate più lunghe e l’allenamento acquisito. Sapeva anche di essere in ritardo sulla tabella di marcia, poiché si era prefissata di iniziare i suoi giri in bici all’inizio di Marzo, ma aveva dovuto rimandare a causa del brutto tempo tipicamente marzolino.

Tornando verso casa, con il finestrino dell’auto abbassato, pregustava già la pedalata, l’aria sulla faccia, i profumi di primavera.
Adorava andare in bici, la sensazione di libertà, di agilità e leggerezza che provava, il ritmico pedalare delle gambe, i muscoli che lentamente, giro dopo giro, si abituavano ai pedali e cominciavano ad andare, adeguando i movimenti alla musica sparata nelle orecchie dalle cuffiette; Francesca cadeva quasi in uno stato di ipnosi e perdeva, lentamente, il senso dei suoi pensieri e il fluire delle emozioni; ogni cosa accaduta o in divenire, bella o brutta che fosse, rimaneva sospesa al di fuori di lei, come entrare in una bolla adimensionale dove non esisteva niente e nessuno al di fuori di lei, la bici e la strada da percorrere.
Aveva trascorso un autunno duro, emotivamente difficile, ma nell’inverno si era rimboccata le maniche, per così dire, ed aveva ricominciato con una vita diversa; eppure era tutto così faticoso, la quotidianità la metteva ancora a dura prova; per questo sentiva il bisogno di quell’oretta in cui staccare completamente la mente e lasciarsi trasportare dalle due ruote.

E questa volta non fu diverso. Giusto il tempo di arrivare a casa, riconsegnare ai vicini il gatto che immancabilmente si infilava in casa sua, cambiarsi i vestiti, gonfiare le gomme della bici, e Francesca era in sella.
Ebbe bisogno di più di un momento per abituarsi alle sensazioni della bici nuova, acquistata apposta per la nuova stagione, così differente da quella vecchia, ma appena ci prese la mano, si lasciò condurre via, in quell’altra dimensione, dove esistevano soltanto la strada sotto le ruote, l’aria sul viso e il sole sulla pelle. In breve si tolse la felpa, che aveva indossato per precauzione, e rimase in maglietta a godersi i quasi venticinque gradi di quello strano pomeriggio di marzo.
Il giro non durò a lungo, poiché non ne aveva il tempo: il sole tramontava ancora presto e non era il caso di restare in strada con il buio. Percorse appena una dozzina di chilometri, e in breve si ritrovò sulla strada verso casa. Immersa in quello stato di trance si ritrovò a passare, quasi inconsapevolmente, in un tratto di strada su cui aveva pedalato innumerevoli volte la primavera scorsa, ma dal quale non era passata all’andata.
Sentì di nuovo quel profumo aleggiare nell’aria, quel goloso odore di vaniglia che le ricordava tanto la crema Chantilly o una torta appena sfornata. Si ricordò di tutte volte che era passata di lì solo per poterne godere. Non aveva mai capito da dove provenisse, perché quella era una strada residenziale e non vi erano pasticcerie o simili per giustificare un aroma simile; immaginava provenisse da una pianta, poiché iniziava a profumare l’aria in primavera, si intensificava in estate, e scompariva sul fare dell’autunno, ma non capiva dove fosse l’albero, né tanto meno quale potesse essere.
Ripensò a come la metteva di buon umore quel profumo, forse perché l’aveva “scoperto” in un periodo della sua vita particolarmente felice. Cercò di andare indietro nel tempo con la mente, cercò di riassaporare quelle sensazioni, quella leggerezza d’animo. Un filo di malinconia le strinse la bocca dello stomaco, ma la scacciò in fretta. Non la voleva la malinconia, non le serviva più: aveva deciso di non lasciarle più spazio nella sua vita. Ricordò solo le sensazioni piacevoli e i momenti di serenità. Passò oltre e non sentì più quel profumo, ma la sensazione di benessere rimase dentro di lei, le riempì l’animo.
Francesca tornò a casa felice quella sera: si sentiva di nuovo viva, di nuovo in movimento. Aveva sentito le gambe muoversi bene sulla bici, aveva svuotato la mente e lasciato fluire via i brutti pensieri. Sapeva che quella sensazione era dovuta, principalmente, alle endorfine rilasciate dall’attività sportiva, ma non ci pensò. Pensò, invece, che stava tornando la primavera, e con essa una nuova stagione e nuove speranze, e lei aveva di nuovo obiettivi e voglia di raggiungerli, voglia di fare.
Quel profumo, dolce e goloso, l’aveva rimessa al mondo.
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