Era una di quelle
giornate di inizio primavera, così soleggiate e calde che sembra la Natura
voglia fare un regalo; una di quelle giornate che fanno credere di essere a
Maggio, anche se il calendario sostiene che Marzo non è ancora finito; uns di
quelle giornate in cui è d’obbligo godere dei primi caldi raggi di sole
nell’attesa che l’inverno si riproponga con un colpo di coda.
Francesca osservava il
via vai della gente nella strada sotto la finestra dell’ufficio, i pensieri persi
in un vagare incontrollato. Vedeva i passsanti correre, indaffarati, avanti e
indietro, come tante piccole formichine operose, senza prestare la minima
attenzione gli uni agli altri, tanto meno al sole che, finalmente, splendeva sopra
le loro teste. Francesca non si capacitava di questa cosa, lei che stava
contando ogni minuto che passava per poter correre a casa: aveva deciso che era
giunto il momento di portare fuori la bici dal garage e iniziare a macinare
chilometri. Aveva un obiettivo e voleva raggiungerlo. Aveva stabilito, a
priori, quanti chilometri avrebbe voluto percorrere da lì all’autunno,
calcolando una media settimanale, che sapeva non essere in grado di rispettare
a inizio e fine stagione, ma che, si augurava, di riuscire ampiamente a superare
durante l’estate, complici le giornate più lunghe e l’allenamento acquisito.
Sapeva anche di essere in ritardo sulla tabella di marcia, poiché si era
prefissata di iniziare i suoi giri in bici all’inizio di Marzo, ma aveva dovuto
rimandare a causa del brutto tempo tipicamente marzolino.
Tornando verso casa,
con il finestrino dell’auto abbassato, pregustava già la pedalata, l’aria sulla
faccia, i profumi di primavera.
Adorava andare in bici,
la sensazione di libertà, di agilità e leggerezza che provava, il ritmico
pedalare delle gambe, i muscoli che lentamente, giro dopo giro, si abituavano
ai pedali e cominciavano ad andare, adeguando i movimenti alla musica sparata
nelle orecchie dalle cuffiette; Francesca cadeva quasi in uno stato di ipnosi e
perdeva, lentamente, il senso dei suoi pensieri e il fluire delle emozioni;
ogni cosa accaduta o in divenire, bella o brutta che fosse, rimaneva sospesa al
di fuori di lei, come entrare in una bolla adimensionale dove non esisteva
niente e nessuno al di fuori di lei, la bici e la strada da percorrere.
Aveva trascorso un
autunno duro, emotivamente difficile, ma nell’inverno si era rimboccata le
maniche, per così dire, ed aveva ricominciato con una vita diversa; eppure era
tutto così faticoso, la quotidianità la metteva ancora a dura prova; per questo
sentiva il bisogno di quell’oretta in cui staccare completamente la mente e
lasciarsi trasportare dalle due ruote.
E questa volta non fu
diverso. Giusto il tempo di arrivare a casa, riconsegnare ai vicini il gatto
che immancabilmente si infilava in casa sua, cambiarsi i vestiti, gonfiare le
gomme della bici, e Francesca era in sella.
Ebbe bisogno di più di
un momento per abituarsi alle sensazioni della bici nuova, acquistata apposta
per la nuova stagione, così differente da quella vecchia, ma appena ci prese la
mano, si lasciò condurre via, in quell’altra dimensione, dove esistevano
soltanto la strada sotto le ruote, l’aria sul viso e il sole sulla pelle. In
breve si tolse la felpa, che aveva indossato per precauzione, e rimase in
maglietta a godersi i quasi venticinque gradi di quello strano pomeriggio di
marzo.
Il giro non durò a
lungo, poiché non ne aveva il tempo: il sole tramontava ancora presto e non era
il caso di restare in strada con il buio. Percorse appena una dozzina di
chilometri, e in breve si ritrovò sulla strada verso casa. Immersa in quello
stato di trance si ritrovò a passare, quasi inconsapevolmente, in un tratto di
strada su cui aveva pedalato innumerevoli volte la primavera scorsa, ma dal
quale non era passata all’andata.
Sentì di nuovo quel
profumo aleggiare nell’aria, quel goloso odore di vaniglia che le ricordava
tanto la crema Chantilly o una torta appena sfornata. Si ricordò di tutte volte
che era passata di lì solo per poterne godere. Non aveva mai capito da dove
provenisse, perché quella era una strada residenziale e non vi erano
pasticcerie o simili per giustificare un aroma simile; immaginava provenisse da
una pianta, poiché iniziava a profumare l’aria in primavera, si intensificava
in estate, e scompariva sul fare dell’autunno, ma non capiva dove fosse
l’albero, né tanto meno quale potesse essere.
Ripensò a come la
metteva di buon umore quel profumo, forse perché l’aveva “scoperto” in un
periodo della sua vita particolarmente felice. Cercò di andare indietro nel
tempo con la mente, cercò di riassaporare quelle sensazioni, quella leggerezza
d’animo. Un filo di malinconia le strinse la bocca dello stomaco, ma la scacciò
in fretta. Non la voleva la malinconia, non le serviva più: aveva deciso di non
lasciarle più spazio nella sua vita. Ricordò solo le sensazioni piacevoli e i
momenti di serenità. Passò oltre e non sentì più quel profumo, ma la sensazione
di benessere rimase dentro di lei, le riempì l’animo.
Francesca tornò a casa
felice quella sera: si sentiva di nuovo viva, di nuovo in movimento. Aveva
sentito le gambe muoversi bene sulla bici, aveva svuotato la mente e lasciato
fluire via i brutti pensieri. Sapeva che quella sensazione era dovuta,
principalmente, alle endorfine rilasciate dall’attività sportiva, ma non ci
pensò. Pensò, invece, che stava tornando la primavera, e con essa una nuova
stagione e nuove speranze, e lei aveva di nuovo obiettivi e voglia di
raggiungerli, voglia di fare.
Quel profumo, dolce e
goloso, l’aveva rimessa al mondo.