Vi è mai capitato di guardarvi indietro, ripensare
alla strada percorsa fino a questo momento, e considerare la vita vissuta
finora come se fosse una lunga scalata?
Se doveste ripensare alla vostra vita nella sua
complessità, e fare un paragone con una via, come sarebbe? Sarebbe una lunga
via alpinistica a più tiri? O sarebbe una serie di monotiri in una falesia, o un
boulder sul quale giocarsi i tendini?
E ancora, quale grado le dareste? Facile,
impegnativa, continua? Un’arrampicata tecnica, delicata, di aderenza, oppure
una via atletica, tutta muscoli e zanche da tirare?
Ho ritrovato queste stesse domande in un topic sul
forum di PM (lo ammetto, l’idea non è del tutto farina del mio sacco!) e,
leggendo le varie risposte, nella mia testa hanno cominciato a ronzare diverse
immagini di tiri, passaggi, muri di roccia che via via andavano componendo in
un puzzle il racconto dei miei 29 anni appena trascorsi.
Nonostante la mia propensione per la falesia,
credo che la vita che ho vissuto finora sia decisamente una via lunga, molto
varia per difficoltà e tipo di roccia, con poche soste e scomode, sulle quali
fermarsi solo il tempo necessario per recuperare forze e attrezzatura, e poi
puntare subito lo sguardo in avanti, oltre il tiro appena affrontato, verso la
roccia sulla quale appoggiare ancora le mani.
È stata senza dubbio una via molto varia, con
alcuni tratti facili e altri decisamente complicati, alcuni fisici che mi hanno
ghisato braccia e gambe, altri complessi psicologicamente che hanno richiesto
un notevole impegno mentale e molta fiducia, a volte nelle mie forze, altre
volte nei soci che in quel tratto scalavano al mio fianco. Alcuni di loro sono
rimasti accanto a me; altri scalano un po’ più distante, ma si procede mantenendo
sempre il contatto; altri ancora se ne sono andati e sono stati sostituiti da
soci nuovi di zecca. Se questi continueranno a scalare accanto a me, solo il
tempo potrà dirlo.
Ho fatto qualche volo, qualcuno anche molto lungo,
dove ho preso molta paura e un po’ di ammaccature; dopo un paio di questi, lo
spavento e l’idea di non farcela mi hanno fatto pensare di abbandonare la
salita; ma una volta ripreso fiato e passata l’adrenalina, non ho potuto far
altro che raccogliere quello che rimaneva di me e riprendere a scalare, nonostante
la paura che rimane nelle ossa, perché nessun altro può farlo al posto mio.
Ma ci sono stati anche tiri belli e piacevoli, che
ho percorso facilmente, divertendomi un sacco.
E adesso? Adesso sto affrontando da prima di cordata
un tratto infido, che all’inizio sembrava facile e incoraggiante, ma presto è
diventato un tratto verticale con pochi piccoli appigli, da stringere tra le
dita con tutta la forza possibile, i piedi appoggiati su micro tacche, e
davanti a me un traverso, molto esposto e psicologicamente duro. È facile
scivolare e il chiodo è lontano. Già una volta un piede ha perso l’appoggio e
ho rischiato di cadere, con un bello spavento che mi fa ancora tremare i polsi quando
ci ripenso. Se cado il volo sarà lungo, molto, e alta la possibilità di farmi
male, e più proseguo peggiori saranno le conseguenze della caduta; ho paura,
tanta, ma devo continuare e vedere come va, passo dopo passo, movimento dopo
movimento, cercare dove possibile di posizionare qualche protezione e fidarmi
solo di me stessa, perché solo io ne posso uscire.
Comunque sono fiduciosa, vado avanti perché i tiri
belli arrivano sempre, e perché [cit.] “nessuno ci obbliga ad arrampicare …
mentre vivere è dannatamente necessario …” [/cit.]