giovedì 23 maggio 2013

arrampicare la vita


Vi è mai capitato di guardarvi indietro, ripensare alla strada percorsa fino a questo momento, e considerare la vita vissuta finora come se fosse una lunga scalata?
Se doveste ripensare alla vostra vita nella sua complessità, e fare un paragone con una via, come sarebbe? Sarebbe una lunga via alpinistica a più tiri? O sarebbe una serie di monotiri in una falesia, o un boulder sul quale giocarsi i tendini?
E ancora, quale grado le dareste? Facile, impegnativa, continua? Un’arrampicata tecnica, delicata, di aderenza, oppure una via atletica, tutta muscoli e zanche da tirare?
Ho ritrovato queste stesse domande in un topic sul forum di PM (lo ammetto, l’idea non è del tutto farina del mio sacco!) e, leggendo le varie risposte, nella mia testa hanno cominciato a ronzare diverse immagini di tiri, passaggi, muri di roccia che via via andavano componendo in un puzzle il racconto dei miei 29 anni appena trascorsi.

Nonostante la mia propensione per la falesia, credo che la vita che ho vissuto finora sia decisamente una via lunga, molto varia per difficoltà e tipo di roccia, con poche soste e scomode, sulle quali fermarsi solo il tempo necessario per recuperare forze e attrezzatura, e poi puntare subito lo sguardo in avanti, oltre il tiro appena affrontato, verso la roccia sulla quale appoggiare ancora le mani.
È stata senza dubbio una via molto varia, con alcuni tratti facili e altri decisamente complicati, alcuni fisici che mi hanno ghisato braccia e gambe, altri complessi psicologicamente che hanno richiesto un notevole impegno mentale e molta fiducia, a volte nelle mie forze, altre volte nei soci che in quel tratto scalavano al mio fianco. Alcuni di loro sono rimasti accanto a me; altri scalano un po’ più distante, ma si procede mantenendo sempre il contatto; altri ancora se ne sono andati e sono stati sostituiti da soci nuovi di zecca. Se questi continueranno a scalare accanto a me, solo il tempo potrà dirlo.
Ho fatto qualche volo, qualcuno anche molto lungo, dove ho preso molta paura e un po’ di ammaccature; dopo un paio di questi, lo spavento e l’idea di non farcela mi hanno fatto pensare di abbandonare la salita; ma una volta ripreso fiato e passata l’adrenalina, non ho potuto far altro che raccogliere quello che rimaneva di me e riprendere a scalare, nonostante la paura che rimane nelle ossa, perché nessun altro può farlo al posto mio.
Ma ci sono stati anche tiri belli e piacevoli, che ho percorso facilmente, divertendomi un sacco.

E adesso? Adesso sto affrontando da prima di cordata un tratto infido, che all’inizio sembrava facile e incoraggiante, ma presto è diventato un tratto verticale con pochi piccoli appigli, da stringere tra le dita con tutta la forza possibile, i piedi appoggiati su micro tacche, e davanti a me un traverso, molto esposto e psicologicamente duro. È facile scivolare e il chiodo è lontano. Già una volta un piede ha perso l’appoggio e ho rischiato di cadere, con un bello spavento che mi fa ancora tremare i polsi quando ci ripenso. Se cado il volo sarà lungo, molto, e alta la possibilità di farmi male, e più proseguo peggiori saranno le conseguenze della caduta; ho paura, tanta, ma devo continuare e vedere come va, passo dopo passo, movimento dopo movimento, cercare dove possibile di posizionare qualche protezione e fidarmi solo di me stessa, perché solo io ne posso uscire.

Comunque sono fiduciosa, vado avanti perché i tiri belli arrivano sempre, e perché [cit.] “nessuno ci obbliga ad arrampicare … mentre vivere è dannatamente necessario …” [/cit.]
Leggi tutto...

martedì 14 maggio 2013

Arco, episode 3

27 aprile
Piove. A dirotto. 
Niente falesia oggi. In realtà, sapendo implacabili le previsioni per questa giornata, abbiamo un piano B già ben congegnato: niente sveglia, il primo che apre gli occhi ha l’incarico di guardare dalla finestra e decidere se svegliare gli altri o tornare sotto le coperte e poi, eventualmente, giornata relax di shopping ad Arco e poi a Trento.
Io apro gli occhi attorno alle 9 e, vista la pioggia, decido di ritornare in letargo ancora per un po’, almeno fino a quando non sento tutti i soci risvegliarsi dalle braccia di Morfeo.
Per quanto riguarda il tour di shopping sfrenato ad Arco, il mio unico obiettivo è l’acquisto della consueta maglietta – ricordo adocchiata la sera prima al Rock&Ice Mountain Store, una per me e una da regalare.
Prima però ci fermiamo per la colazione al bar Conti d’Arco, un barettino all’apparenza poco significativo, che sembra essere rimasto fermo agli anni ’70, zeppo però di foto autografate dei più grandi climber e alpinisti, italiani e stranieri. Successivamente scoprirò essere una location molto rinomata e storica per il popolo climber arcense e per quelli che da Arco passano in visita. Benché involontariamente, posso ora dire di esserci stata anch’io!
Usciti dal bar, si comincia con lo shopping, iniziando dal Rock&Ice, dove io e Teo, che si è fatto convincere, acquistiamo le magliette. Da lì in poi è un pellegrinaggio a tappe forzate dentro e fuori da ogni singolo negozietto che in vetrina esponga anche solo tre rinvii. E ce ne sono tanti ad Arco, alla fine della mattinata penso che siano addirittura troppi! Quasi un negozio su due nel centro è dedicato ad articoli di arrampicata/montagna, e posso dire di non aver mai visto tre uomini così felici di trascorrere circa tre ore a fare spese come lo sono i miei soci oggi! A loro difesa va detto che sia i negozi più grandi, come il Vertical Sport, sia quelli più piccini, sono estremamente forniti e molto convenienti, compresi i monomarca, come il Salewa Shop o quello de La Sportiva. 
All’una circa dobbiamo desistere (meno male!) causa chiusure per pausa pranzo e decidiamo di andare anche noi a mangiare qualcosa. Da quando abbiamo iniziato ad organizzare la vacanza in Trentino, ho rotto le scatole a tutti quanti perché voglio mangiare i canederli, che ho assaggiato una sola volta e mi sono piaciuti moltissimo. Durante un breve tour esplorativo fatto la sera precedente, abbiamo individuato un ristorante che li presenta nel menu. La scelta è praticamente obbligata. Obbligata da me. 
Il posto è carinissimo: una vecchia casa ristrutturata, con tavoli in legno scuro e sedie dallo schienale alto. Ci fanno accomodare accanto al camino spento (anche se io non avrei disdegnato una pur debole fiammella) e ordiniamo canederli in brodo di carne, verdure grigliate, pizza per Luca, e una bottiglia di Muller. I canederli sono buonissimi, il brodo caldo delizioso in una giornata così uggiosa. 
Per quanto riguarda il cibo, si può dire che in questi tre giorni non abbiamo sbagliato un colpo!
Dopo pranzo ci aspetta quello che si rivelerà l’evento clou della giornata: il giro delle cantine di Santa Massenza! 
Non racconterò tutto quello che abbiamo acquistato, né racconterò tutto quello che ci è stato offerto da assaggiare, e che sarebbe stato veramente una scortesia rifiutare. Dirò soltanto che è stato un pomeriggio decisamente interessante … e chi vuole intendere … 
Dopo Santa Massenza ci dirigiamo verso Trento, cittadina molto bella e curata, che ho già visitato qualche anno fa in occasione di una mia precedente vacanza dolomitica. Dopo una sosta per mangiare una piadina, facciamo un giro nel centro, dove, tra i tanti negozi di abbigliamento, accessori, profumeria, varie ed eventuali (eh, sì, si vede proprio la differenza con Arco!), ci aspetta lo Sportler. Ad essere precisi ci rechiamo nel negozio Sportler Alpin, il punto vendita dedicato agli sport di montagna. Devo, purtroppo, ammettere che non mi ha per nulla entusiasmata: benché all’interno sia presente una vasta gamma di prodotti tra abbigliamento e attrezzatura, in realtà si trova poca varietà nei marchi; sono presenti, ad esempio, tantissimi modelli di scarpette, ma solo Scarpa o La Sportiva. I prezzi poi sono poco competitivi, soprattutto se paragonati con quelli di Arco, e forse poco competitivi in generale. In ogni caso dedichiamo più di mezz’ora al negozio, anche se poi nessuno acquista nulla. 
Usciti dallo Sportler ci accorgiamo che è ormai ora di rientrare ad Arco, e che per me la mini vacanza è, ahimè, giunta alla fine. I miei soci si fermeranno ancora l’indomani, mentre io, ritornati all’agriturismo, caricherò le borse in auto e ripartirò, abbandonando le sponde del Lago di Garda, diretta verso quelle, a me più familiari, del Lago Maggiore. 
Leggi tutto...

lunedì 13 maggio 2013

Arco, episode 2


Venerdì 26 aprile
A quanto pare i meteorologi hanno indovinato: ci svegliamo sotto un cielo plumbeo, denso di nubi grigie e minacciose. Vista la temperatura comunque accettabile e la momentanea assenza di pioggia,decidiamo di tentare la sorte e provare a scalare ugualmente. Del resto quali alternative abbiamo?
Fabio e Luca, detentori della guida, propongono una falesia nelle Valli Giudicarie chiamata “Croz de le Niere”, località Preore, a circa un’ora di auto da Arco.
Dobbiamo dirigerci verso Trento, lasciandoci il lago alle spalle, e poi verso il Campiglio, addentrandoci nelle Valli. Oggi guida Luca, quindi posso godermi il panorama lungo il tragitto
Via via che ci allontaniamo da Arco le pareti di calcare, bianche o grigie, coperte qua e là di vegetazione di un intenso color smeraldo, cominciano ad incombere sempre più sulla strada, facendosi imponenti e quasi minacciose. Il paesaggio ha un che di grandioso e terribile al tempo stesso: immensi muri di roccia alti quasi mille metri fiancheggiano la strada senza soluzione di continuità, così giganteschi che lo sguardo non riesce ad abbracciarne tutta l’ampiezza; quando realizzo che quelle venature smeraldine, che ad una prima occhiata paiono declivi di soffice erbetta, sono in realtà fitti boschi di alberi, mi sento più minuscola di una formica accanto ad un elefante, e altrettanto insignificante di fronte a così tanta immensità. Non riesco a smettere di guardare, bevo con gli occhi il paesaggio come un assetato l’acqua fresca di un ruscello, quasi fosse un miraggio che temo scompaia se mi volto o se solo sbatto le palpebre.
Credo che le medesime sensazioni le provino i miei compagni di viaggio, perché in auto tutti tacciono, solo l’autoradio ha l’ardire di spezzare il silenzio.
Menzione speciale merita una di queste pareti denominata Placche Zebrate, o meglio, la menzione speciale va al Bar Paninoteca Parete Zebrata, dove facciamo una breve sosta per la colazione, non tanto per le sue, per quanto ottime, brioches, ma per le ragazze al bancone, le quali hanno involontariamente provocato un repentino risveglio ormonale nei miei tre soci. Del resto si sa, siamo in primavera …
Richiamati i soci nei ranghi, riprendiamo la strada verso la falesia, che raggiungiamo senza troppi problemi. Noto con immenso piacere l’avvicinamento nullo (si fa quasi sicura dall’auto!) e una zona attrezzata per pic-nic con un gazebo in legno (che ancora non sappiamo quanto ci tornerà utile nella mattinata).
La falesia ha più settori; quello più basso e a ridosso della strada, denominato La Formica, è quello con il maggior numero di tiri semplici. Cominceremo da qui.
Osservo la roccia: un calcare nero, molto compatto, dove gli appigli non sono mai buchetti o spaccature, ma tacche abbastanza geometriche da tirare di dita o pinzare. Il grip non è ottimale, meglio non pensare di spalmare i piedi e cercare sempre un appoggino, per quanto minuscolo. Mi ricorda molto il calcare della falesia Telematica a Castelbianco (SV). Non mi convince e infatti non mi sbaglio: già sul primo tiro, “Cavalcando l’asino”, un 4c che approccio da 1, iniziano le grane. A metà via non mi fido a fare un lancetto verso quella che sembra una zanca buona: per due volte arrivo fino a lì, per due volte mi faccio calare sul rinvio. La testa oggi non c’è, i piedi neppure, tanto che ho dovuto rinunciare alle Scarpa, che oggi fanno troppo male, a favore delle vecchie e sfondate Wild Climb. Se mai avessi avuto qualche velleità di scalare da 1, oggi è già decisamente passata!
La pioggia prova a rovinarci la mattinata: per due volte ci sorprendono degli acquazzoni, tanto da doverci rifugiare sotto al gazebo in legno. Ma nonostante le bordate meteorologiche non demordiamo, e appena spiove ci riappropriamo della falesia.
La nostra perseveranza verrà premiata, tanto che non solo non pioverà più nel corso della giornata ma, a sprazzi, farà anche capolino un timidissimo sole.
La falesia, invece, non ci premierà affatto. Dopo quel tentativo sulla via dell’Asino, che non riprovo assolutamente da 2 e che Teo invece chiude senza problemi da 1, facciamo da contrappesi a Fabio e Luca che salgono l’uno su un quinto, “Sali o Scendi”, l’altro sull’Asino e che provano a concatenare con due secondi tiri, non senza qualche difficoltà nell’intuire le linee più corrette da seguire.
Ci spostiamo quindi nel settore Lavarda, dove io e Teo approcciamo “La via dei No Bo” un 4c gradato da … Dario Argento! Un tiro allucinante, con una partenza durissima, una parte centrale che abbiamo definito “avventurosa”, popolata da varie specie di flora e fauna, e un finale dove la roccia cambia decisamente e si fa molto più liscia, friabile e decisamente instabile. Teo sale da 1 tra notevoli difficoltà più che condivisibili. Io salgo da 2, ma anche così fin dalla partenza mi mette decisamente a dura prova.
Io e Teo ci guardiamo esterrefatti: alla faccia del 4c!
Fabio e Luca intanto provano “L’Equivoco” un 5c che ha nell’uscita da un tetto la sua parte più complicata e fisica. Gli uomini trovano molto ingaggio e altrettanto divertimento, io da 2 salgo fino al tetto, poi mi faccio calare.
Torniamo quindi al settore Formica, dove io e Teo approcciamo un 5 che ancora non sappiamo bene se sia “Green” 5a o “Via della Domenica” 5b. Sappiamo solo che è una via terribilmente continua e stancante, e che nessuno di noi due arriva in catena, ma ci blocchiamo ghisati all’incirca nello stesso punto. Fabio e Luca nel frattempo si ingaggiano su “La riscossa del Codardo”, che pare avere un passetto molto delicato a metà. Poi gli uomini salgono un altro quinto facile, mentre io inizio a ritirare l’attrezzatura.
Ridendo e scherzando si sono fatte le 19 ed è ora di rientrare.
Arriviamo ad Arco che sono ormai le 20 passate, troppo tardi per andare a cena alla Speck Stube a Malcesine, come avevamo pregustato per tutta la giornata, nonostante i lamenti di Luca, vegetariano.
Ripieghiamo sul primo ristorante che ispira fiducia a tutti quanti (del quale purtroppo non ricordo il nome) e mai scelta avrebbe potuto essere così azzeccata! Ci rinfranchiamo dopo le legnate della giornata con una sontuosa cena a base di carpaccio di carne salada e spetzle per me, Teo e Fabio, e risotto al radicchio e Teroldego seguito da un buon dolcino per Luca; il tutto innaffiato da generoso Nosiola.
Cosa c’è di meglio che buon cibo e buon vino dopo una giornata di lotta alla roccia?
Leggi tutto...

martedì 7 maggio 2013

Arco, episode 1


Arco (TN).
Un luogo il cui nome viene pronunciato con rispetto e reverenza da tutti i climber che vi si sono recati almeno una volta, la cui fama sfocia quasi nel mito per chi ancora non c’è stato. Un luogo in cui, ovunque si volga lo sguardo, gli occhi intercettano una parete da scalare, una linea da seguire, una falesia da raggiungere, anche se solo con l’immaginazione.
È da quando ho seguito, purtroppo in televisione, i mondiali di arrampicata del 2011 che desidero scalare lì, su quelle immense pareti di calcare affacciate sulla punta più alta del lago di Garda, dove il Sarca getta le sue acque smeraldine in quelle azzurre del lago, circondate da ulivi, limoni e tanto, tanto verde.
Quest’anno il ponte del 25 aprile è molto goloso: quattro giorni buoni per scalare; un’occasione così non possiamo certo farcela scappare e con un mese di anticipo Matteo inizia ad organizzare un weekend lungo, che assume quasi il sapore di un pellegrinaggio in Terra Santa.
Nel corso dei giorni il gruppo, dapprima abbastanza numeroso, inizia purtroppo a perdere elementi, e così, a ridosso della partenza, rimaniamo in quattro: io, Matteo, Fabio e Luca; come si dice pochi ma buoni!

Giovedì 25 aprile
Ritrovo ore 6.30 al punto blu a Galliate. Luca, in trasferta lavorativa, ci raggiungerà, spera, in giornata, mentre noi tre rimasti carichiamo zaini e bagagli sulla mia piccola Ypsilon e ci mettiamo in marcia diretti verso la Valle del Sarca. Il viaggio scorre tranquillo: superiamo senza problemi una Milano ancora addormentata e via via snoccioliamo uno dopo l’altro i paesi adagiati lungo la A4 semi deserta.
Mentre scorrono i chilometri si discute un po’ di tutto e un po’ di niente: di auto da cambiare, di auto da tenere ancora per un po’, della voglia di trasferirsi all’estero, di falesie e di canzoni, di una giornata che si prospetta calda e assolata, ricca di emozioni nuove e ancora tutte da scoprire.
Prima delle 9.00 ci fermiamo ad Affi per la seconda (almeno per me) colazione, e poi via veloci lungo la Modena-Brennero, su su verso quelle montagne tanto attese.
Durante il viaggio Fabio sfoglia la guida nuovissima, acquistata apposta per l’occasione, e decidiamo la destinazione: il Belvedere di Nago.
Ne ho letto un po’ su alcuni forum, so che ne parlano bene, ma dicono anche che è una falesia piuttosto gettonata e per questo unta. Ma poi, realmente, cosa vorrà mai dire unta? Ho quasi paura di scoprirlo!
Siamo lì attorno alle 10, e appena parcheggiata l’auto capisco perché si chiama Belvedere: da lì si gode una spettacolare vista del Garda solcato dalle vele dei windsurf e delle barche, con l’abitato di Torbole che abbraccia la foce del Sarca, immerso in uno spazio di campi e prati verdissimi, sullo sfondo di imponenti muri di roccia calcarea. La giornata quasi estiva ci regala anche un cielo azzurro che completa uno spettacolo da cartolina; proprio per questo, però, la falesia è già piuttosto affollata, soprattutto di climber di lingua tedesca; riusciamo comunque a conquistarci subito un paio di vie libere.
Il calcare sembra ottimo e compatto, ma già sulla prima via capisco cos’è l’unto: gli innumerevoli passaggi dei climber hanno levigato la roccia in alcuni punti “obbligati”, rendendo quasi impossibile far aderenza con le scarpette. Anche con le mie nuove, mitiche Scarpa faccio un po’ di fatica.
Le gradazioni non mi sembrano, tuttavia, così severe come mi avevano annunciato forse per spaventarmi. Un paio di quarti li scalo da prima senza troppi problemi, due placchette divertenti e ben appigliate.
Ci spostiamo allora su due quinti, e qui, a dire la verità, iniziano i problemi. Fabio, dopo aver montato le vie, consiglia a me e a Teo di provarli da 2, perché “non sono banali”. Tracciati uno accanto all’altro, hanno entrambi una partenza leggermente strapiombante e gli appigli per la maggiore leggermente svasi. Poi proseguono su qualche metro di placca liscissima, con tacchette da cardiopalma da stringere in punta di dita e piedi spalmati sul nulla. Inutile sottolineare come io, placchista indomita che non sale uno strapiombo nemmeno se parancata, mi sia appesa innumerevoli volte nei metri iniziali, con le braccia già ghisate al primo rinvio, passeggiando poi con grande godimento la parte placcosa finale.

La giornata trascorre veloce e caldissima, una via dopo l’altra, splende un sole da incorniciare e si scala praticamente in costume.
Verso mezzogiorno la maggior parte dei climber crucchi abbandona la falesia, liberando finalmente le vie più divertenti nella parte bassa della falesia. Facciamo conoscenza con un gruppetto di ragazzi cuneesi, con i quali ci alterniamo sulle vie nel corso del pomeriggio, riuscendo a salire tutte quelle che più ci aggradano senza mai dover sgomitare. Così, quasi senza accorgermene, supero il mio record di vie salite in una sola giornata: non ho mai oltrepassato le 8 vie, mentre oggi ne faccio addirittura 10!
Un quinto che sembra facile facile mette a dura prova la mia, ormai cronica, coniglite: passetto duro al penultimo spit, piccola frattura per le mani con appoggio di fiducia per i piedi. Non mi fido, figuriamoci, e mi appendo; ci riprovo e mi riappendo; ci provo ancora, stesso risultato. Mi faccio calare; la chiuderò in un giro da seconda, con l’amaro in bocca.
Proviamo altri due quinti: uno facile facile che segue una bella frattura con qualche passo in diedro, un altro poco impegnativo all’inizio ma con un finale folle: quattro metri circa di placca quasi verticale sulla quale gli appigli sono disegnati e gli appoggi per i piedi modellati con lo strutto. Carinissima e divertente … ma forse solo perché la salgo da 2. Non importa, per oggi lascio vincere il coniglio che è in me e la chiudo pulita così.
Ci spostiamo su un paio di 5b. Quelli anche Matteo decide di salirli da 2, perché si sente giustamente stanco, soprattutto psicologicamente. Anche questi sono placcosi e svasi. Per me una meraviglia, per Teo un po’ di meno, ma l’avevamo già capito che io e lui siamo climber in opposizione di fase: dove io passeggio, lui impreca; dove lui non ha problemi, io non salgo.
Ed è proprio per questo che Teo decide di provare un 5c che ha il passo chiave sotto un tetto, sul quale riesce grandiosamente a passare dopo averci meditato un po’, mentre io scelgo di non provarla nemmeno e me ne rimango seduta a fare il tifo.
La stanchezza e la fame cominciano a farsi sentire quando ci accorgiamo che si sono fatte quasi le 20 ed è ormai ora di raggiungere l’agriturismo dove pernotteremo, anche se il clima tiepido e la luce ancora forte invoglierebbero a rimanere per scalare ancora un po’.
Dopo la cena in pizzeria, durante la quale ci divoriamo una pizza e mezza a testa e un paio di birre stra-meritate, andiamo a dormire in compagnia di una splendida luna piena che, facendo capolino dalla finestra, illumina la stanza con una morbida luce bianca e ci incoraggia a sperare anche per l’indomani, anche se le previsioni meteo per il 26 non sono mai state particolarmente incoraggianti nel corso degli ultimi giorni.


Leggi tutto...