Arco (TN).
È da quando ho seguito,
purtroppo in televisione, i mondiali di arrampicata del 2011 che desidero
scalare lì, su quelle immense pareti di calcare affacciate sulla punta più alta
del lago di Garda, dove il Sarca getta le sue acque smeraldine in quelle
azzurre del lago, circondate da ulivi, limoni e tanto, tanto verde.
Quest’anno il ponte del
25 aprile è molto goloso: quattro giorni buoni per scalare; un’occasione così
non possiamo certo farcela scappare e con un mese di anticipo Matteo inizia ad
organizzare un weekend lungo, che assume quasi il sapore di un pellegrinaggio
in Terra Santa.
Nel corso dei giorni il
gruppo, dapprima abbastanza numeroso, inizia purtroppo a perdere elementi, e
così, a ridosso della partenza, rimaniamo in quattro: io, Matteo, Fabio e Luca;
come si dice pochi ma buoni!
Giovedì 25 aprile
Ritrovo ore 6.30 al
punto blu a Galliate. Luca, in trasferta lavorativa, ci raggiungerà, spera, in
giornata, mentre noi tre rimasti carichiamo zaini e bagagli sulla mia piccola
Ypsilon e ci mettiamo in marcia diretti verso la Valle del Sarca. Il viaggio
scorre tranquillo: superiamo senza problemi una Milano ancora addormentata e
via via snoccioliamo uno dopo l’altro i paesi adagiati lungo la A4 semi
deserta.
Mentre scorrono i
chilometri si discute un po’ di tutto e un po’ di niente: di auto da cambiare,
di auto da tenere ancora per un po’, della voglia di trasferirsi all’estero, di
falesie e di canzoni, di una giornata che si prospetta calda e assolata, ricca
di emozioni nuove e ancora tutte da scoprire.
Prima delle 9.00 ci
fermiamo ad Affi per la seconda (almeno per me) colazione, e poi via veloci
lungo la Modena-Brennero, su su verso quelle montagne tanto attese.
Durante il viaggio
Fabio sfoglia la guida nuovissima, acquistata apposta per l’occasione, e decidiamo
la destinazione: il Belvedere di Nago.
Ne ho letto un po’ su
alcuni forum, so che ne parlano bene, ma dicono anche che è una falesia
piuttosto gettonata e per questo unta. Ma poi, realmente, cosa vorrà mai dire
unta? Ho quasi paura di scoprirlo!
Siamo lì attorno alle
10, e appena parcheggiata l’auto capisco perché si chiama Belvedere: da lì si
gode una spettacolare vista del Garda solcato dalle vele dei windsurf e delle
barche, con l’abitato di Torbole che abbraccia la foce del Sarca, immerso in
uno spazio di campi e prati verdissimi, sullo sfondo di imponenti muri di
roccia calcarea. La giornata quasi estiva ci regala anche un cielo azzurro che
completa uno spettacolo da cartolina; proprio per questo, però, la falesia è
già piuttosto affollata, soprattutto di climber di lingua tedesca; riusciamo comunque
a conquistarci subito un paio di vie libere.
Il calcare sembra
ottimo e compatto, ma già sulla prima via capisco cos’è l’unto: gli
innumerevoli passaggi dei climber hanno levigato la roccia in alcuni punti
“obbligati”, rendendo quasi impossibile far aderenza con le scarpette. Anche
con le mie nuove, mitiche Scarpa faccio un po’ di fatica.
Le gradazioni non mi
sembrano, tuttavia, così severe come mi avevano annunciato forse per
spaventarmi. Un paio di quarti li scalo da prima senza troppi problemi, due
placchette divertenti e ben appigliate.
Ci spostiamo allora su
due quinti, e qui, a dire la verità, iniziano i problemi. Fabio, dopo aver
montato le vie, consiglia a me e a Teo di provarli da 2, perché “non sono
banali”. Tracciati uno accanto all’altro, hanno entrambi una partenza
leggermente strapiombante e gli appigli per la maggiore leggermente svasi. Poi
proseguono su qualche metro di placca liscissima, con tacchette da cardiopalma
da stringere in punta di dita e piedi spalmati sul nulla. Inutile sottolineare
come io, placchista indomita che non sale uno strapiombo nemmeno se parancata,
mi sia appesa innumerevoli volte nei metri iniziali, con le braccia già ghisate
al primo rinvio, passeggiando poi con grande godimento la parte placcosa
finale.
La giornata trascorre
veloce e caldissima, una via dopo l’altra, splende un sole da incorniciare e si
scala praticamente in costume.
Verso mezzogiorno la
maggior parte dei climber crucchi abbandona la falesia, liberando finalmente le
vie più divertenti nella parte bassa della falesia. Facciamo conoscenza con un
gruppetto di ragazzi cuneesi, con i quali ci alterniamo sulle vie nel corso del
pomeriggio, riuscendo a salire tutte quelle che più ci aggradano senza mai
dover sgomitare. Così, quasi senza accorgermene, supero il mio record di vie
salite in una sola giornata: non ho mai oltrepassato le 8 vie, mentre oggi ne
faccio addirittura 10!
Un quinto che sembra
facile facile mette a dura prova la mia, ormai cronica, coniglite: passetto
duro al penultimo spit, piccola frattura per le mani con appoggio di fiducia
per i piedi. Non mi fido, figuriamoci, e mi appendo; ci riprovo e mi riappendo;
ci provo ancora, stesso risultato. Mi faccio calare; la chiuderò in un giro da
seconda, con l’amaro in bocca.
Proviamo altri due
quinti: uno facile facile che segue una bella frattura con qualche passo in
diedro, un altro poco impegnativo all’inizio ma con un finale folle: quattro
metri circa di placca quasi verticale sulla quale gli appigli sono disegnati e
gli appoggi per i piedi modellati con lo strutto. Carinissima e divertente … ma
forse solo perché la salgo da 2. Non importa, per oggi lascio vincere il
coniglio che è in me e la chiudo pulita così.
Ci spostiamo su un paio
di 5b. Quelli anche Matteo decide di salirli da 2, perché si sente giustamente
stanco, soprattutto psicologicamente. Anche questi sono placcosi e svasi. Per
me una meraviglia, per Teo un po’ di meno, ma l’avevamo già capito che io e lui
siamo climber in opposizione di fase: dove io passeggio, lui impreca; dove lui
non ha problemi, io non salgo.
Ed è proprio per questo
che Teo decide di provare un 5c che ha il passo chiave sotto un tetto, sul
quale riesce grandiosamente a passare dopo averci meditato un po’, mentre io
scelgo di non provarla nemmeno e me ne rimango seduta a fare il tifo.
La stanchezza e la fame
cominciano a farsi sentire quando ci accorgiamo che si sono fatte quasi le 20
ed è ormai ora di raggiungere l’agriturismo dove pernotteremo, anche se il
clima tiepido e la luce ancora forte invoglierebbero a rimanere per scalare
ancora un po’.
Dopo la cena in
pizzeria, durante la quale ci divoriamo una pizza e mezza a testa e un paio di
birre stra-meritate, andiamo a dormire in compagnia di una splendida luna piena
che, facendo capolino dalla finestra, illumina la stanza con una morbida luce
bianca e ci incoraggia a sperare anche per l’indomani, anche se le previsioni
meteo per il 26 non sono mai state particolarmente incoraggianti nel corso
degli ultimi giorni.
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