giovedì 3 settembre 2015

Pustertal

Scalare è bello, ma a volte si ha bisogno di vivere la montagna in modo meno adrenalinico. O almeno io ne sento il bisogno, soprattutto nei periodi di massimo stress e stanchezza, quando la mia testa se ne va per i fatti suoi e non ho abbastanza concentrazione; per questo motivo anche quest’anno decido di programmare qualche giorno di ferie in giro per le Alpi, con Miriam, amica e compagna di camminate.
L’anno scorso siamo state in Val Veny, alle pendici del Monte Bianco; quest’anno Miriam esprime il desiderio di andare in Dolomiti, proposta che accolgo con entusiasmo, visto che nemmeno io conosco bene quelle zone. In breve decidiamo che il “campo base” sarà Brunico, stabiliamo il periodo, la seconda settimana di agosto, e in breve troviamo anche un alberghetto. Detto fatto. Ora non resta che attendere l’8 di agosto, provando a progettare in anticipo qualche escursione.
È da parecchio che ho in testa di vedere le Tre Cime di Lavaredo, ma non mi fido ad affrontare la ferrata delle Scalette, anche se mi piacerebbe tanto, e non conoscendo la zona chiedo info sul forum.
Mi viene caldamente sconsigliato il giro delle Tre Cime, perché molto affollato e perché “da sotto” non si vede nulla. Mi consigliano, invece, di raggiungerle dalla Val Fiscalina e Val Campodidentro.
Trovo recensito un bel percorso che dal rifugio Tre Scarperi porta al Rifugio Locatelli. Forse è un po’ impegnativo (1000 m di dislivello), ma viene recensito come E, quindi, lancio il cuore oltre l’ostacolo, e lo reputo approcciabile. Il resto lo decideremo in loco.
Le ultime settimane prima della partenza sono una tortura: caldo torrido, lavoro pressante, stanchezza accumulata che si fa sentire sempre di più. Al 20 luglio sono già sui gomiti: non mi sembra possibile che l’8 di agosto arriverà.
E invece arriva, e ovviamente il meteo, caldo, soleggiato e afoso per tutto il mese precedente, decide di complicarci la vita e prevede temporali per tutto il fine settimana.
Ce ne faremo una ragione, anche perché non possiamo fare diversamente. Optiamo su una partenza morbida, alle 9.00 da Varese, orario che mi lascia perplessa ma al quale acconsento; siamo in ferie, dopo tutto, niente stress. Deve aver avuto la stessa idea anche qualche altro migliaio di vacanzieri, tant’è che appena imboccata la Modena – Brennero ci troviamo ferme in coda con previsioni di percorrenza a passo d’uomo fino a Trento. Troppo! Usciamo e proseguiamo su strada normale. Ci impiegheremo la bellezza di sei ore per arrivare a Vipiteno, e nel frattempo il meteo decide di rispettare le previsioni e in breve si rannuvola.
Tra me e Miriam, dall’anno scorso, c’è un piccolo gioco, il gioco dei confini: l’estate scorsa abbiamo valicato insieme in escursione il confine tra Italia e Francia. Lo scorso giugno, sempre su un sentiero, quello tra Italia e Svizzera. Nella programmazione del viaggio abbiamo deciso di valicare anche il confine con l’Austria e di visitare Innsbruck proprio quel pomeriggio. Purtroppo non ci è possibile valicarlo a piedi, ma ci accontentiamo.
Peccato solo per la pioggia, che inizia a scendere copiosa non appena entriamo in territorio austriaco e che ci rovina in parte la visita alla città, ma non la cena tipica, che consumiamo in un localino del centro storico, su tavolini all’aperto in una viuzza deliziosa.
Rientrate in Italia, andiamo a dormire augurandoci che l’indomani il tempo sia migliore.
Ci svegliamo sotto un cielo incerto: molte nubi minacciose intervallate da sprazzi di sereno. Non c’è molto margine per una escursione lunga: il rischio di pioggia è davvero alto e ci tocca trovare un’alternativa. Vicino a Brunico c’è Campo Tures; a Campo Tures c’è un castello (macondirondirondello …); alla parola “castello” i miei occhi di nerd, fantasy-dipendente, appassionata di medioevo, si illuminano d’immenso: UN CASTELLO!!! Credo di aver guardato Miriam con sguardo degno del miglior Gatto con gli Stivali, e quindi Castel Taufers sia! In effetti il castello è una meraviglia, perfettamente conservato e arredato. Peccato solo per alcuni visitatori un po’ troppo molesti che hanno infastidito la visita guidata.
Nel frattempo il meteo migliora ed esce anche uno splendido sole. Scopriamo, non mi ricordo nemmeno bene come, che da Campo Tures parte un sentiero che porta alle tre cascate del Rio Riva (Valle Aurina); del resto siamo venute in vacanza per camminare, quindi gambe in spalla e alè!
L’inizio del percorso è su strada sterrata, del tutto pianeggiante, in mezzo ai campi, dalla quale si gode di una vista di Campo Tures e Castel Taufers degna di una cartolina (la mia reflex ringrazia!); via via che ci si avvicina alle cascate il sentiero si addentra nel bosco e inizia a salire, anche se è davvero poco impegnativa. Non chiedetemi il numero del sentiero perché davvero non lo ricordo. So solo che si trovano già indicazioni nella piazza centrale di Campo Tures, quindi è facile.
La prima cascata sbuca da una specie di grotta, bassa ma impetuosa, si fa portare rispetto. Dopo il rito delle foto con cascata alle spalle proseguiamo lungo il sentiero in salita, lungo il quale, quasi come stazioni di una via crucis, si incontrano delle cappellette dedicate al Cantico delle Creature. Molto suggestiva quella dedicata al Fuoco, dove l’area è disseminata di piccoli e grandi ometti, cumuli di pietre impilati, sasso dopo sasso, a testimonianza di chi, per volontà o per caso, è passato di lì.
Raggiungiamo la seconda cascata, alta ed imponente, quando ormai il cielo si è fatto plumbeo. Nemmeno il tempo di chiederci cosa fare che si mette a piovere. Non ci resta che girare i tacchi e tornare alla macchina.
Giorno 3 di vacanza. Finalmente il sole splende in un cielo terso azzurro cobalto, attraversato solo da alcune bianche e soffici nuvole innocue che ne esaltano la perfezione. Oggi trekking! Destinazione Plan de Corones, dove finalmente potrò collaudare i miei nuovi bastoncini rigorosamente Decathlon. Facciamo le pigre e saliamo con l’ovetto. Che sensazione strana prendere un ovetto in estate, senza snowboard, senza code, senza la ressa delle domeniche sulla neve.
Saliamo fino in vetta, dove ci attende la campana della Concordia (mah …) e uno spettacolare panorama che spazia su molte vette dolomitiche, dal Sassolungo al Sass Putia, al Lagazuoi, fino a scorgere la Marmolada in lontananza, purtroppo velata da una lieve foschia.
Dopo le foto di rito approcciamo l’itinerario detto “Gran Tour”, un giro ad anello che corre poco sotto la cima, lungo i sentieri 1 e 3. L’idea è di chiudere il giro e prendere il percorso di discesa verso Riscone, sentieri 8-7-4. Purtroppo la cartina che abbiamo (recuperata in albergo la sera prima) è decisamente poco chiara e molto approssimativa, e in breve perdiamo l’orientamento. Crediamo di aver fatto quasi il giro completo, e prendiamo un sentiero di discesa in quel punto male indicato. Dopo una ventina di minuti di cammino troviamo delle indicazioni più chiare, e mi rendo conto che non si tratta del sentiero che dobbiamo prendere noi, ma quello che scende esattamente sul versante opposto. Damn!! Dobbiamo risalire. Puntiamo alla vetta così ci sarà più facile trovare il sentiero corretto, che in effetti risulta molto ben indicato. Ci impieghiamo circa 4 ore per raggiungere la partenza degli ovetti, lungo un percorso a dir poco incantevole, lievemente più impegnativo ed esposto nella parte iniziale, si addentra poi nel bosco diventando più facile; costeggia il lago di Hirsch, di una straordinaria bellezza, per raggiungere poi un boschetto di conifere che sembra uscito da una delle migliori storie di fate ed elfi: ci godiamo l’escursione fermandoci spesso per fotografare il paesaggio, con molta calma e la mente finalmente libera e leggera. Una giornata fantastica non poteva che concludersi con del buon cibo e, raggiunto Riscone ormai all’ora perfetta, troviamo, proprio alla fine del sentiero, un ristorante molto carino e ben recensito, dove consumiamo una cena golosa accompagnata da abbondanti birre tirolesi.
Martedì, altro giorno di splendido sole. Siamo ancora un po’ stanche da ieri, quindi optiamo per quello che dovrebbe essere un rilassante giro in bici lungo la pista ciclabile detta Pusterbike, che da Rio di Pusteria porta a San Candido, lungo il torrente Rienza.
Noleggiamo le Biciclette a Brunico e prendiamo la direzione verso Rio di Pusteria. Il percorso è assolutamente incantevole e nemmeno troppo impegnativo. Le salite si alternano alle discese ma per la maggior parte si pedala in piano, tra paesini che paiono dipinti e prati di un verde che fa male agli occhi. Arriviamo fino a Valdoies e poi decidiamo di tornare indietro: volevamo un giro rilassante e abbiamo fatto quasi 40 chilometri tra andata e ritorno. Pausa gelato quando riportiamo le bici al noleggio e poi via verso il lago di Braies, un incantevole lago alpino, uno specchio d’acqua di rara bellezza, diventato famoso per una fiction con Terence Hill, e quindi invaso di turisti. Fatico a fare foto senza che qualcuno mi passi davanti. Impreco un po’ e mi innervosisco, ma alla fine qualche bello scatto lo riesco a fare lo stesso verso il tramonto, con le cime illuminate dai caldi raggi del sole morente e la superficie del lago solcata dalle ultime barche e da un SUP.
Giorno 5, ultimo giorno effettivo di vacanza. Domani dovremo ripartire, quindi non potremo fare nulla di lungo e impegnativo. Rimane solo oggi per l’escursione programmata verso il rifugio Locatelli, verso le Tre Cime di Lavaredo. Fin dal mattino sono carica, l’escursione è impegnativa ma sono sicura che ce la faremo. Alla fine il percorso è soltanto E, possiamo farcela.
Ci svegliamo presto, colazione presto, anche se il dubbio che non sia così presto mi rimane. Va beh, poco male, le giornate sono ancora lunghe, fino alle 21 c’è luce.
Prendiamo l’auto e ci dirigiamo verso San Candido, ma troviamo coda e perdiamo tempo, quindi arriviamo al parcheggio che la sbarra è già chiusa: per arrivare al parcheggio alto del rifugio Tre Scarperi, punto di partenza dell’escursione dobbiamo prendere la navetta. Arriviamo al parcheggio alto (quota 1500 m) e da lì inizia il sentiero per il Tre Scarperi, che raggiungiamo in circa 15 minuti. Adesso inizia l’escursione vera e propria (quota 1626 m), a sinistra la Punta dei Tre Scarperi, a destra i Baranci, dritto davanti a noi il monte Mattina. Proseguiamo su un sentiero abbastanza pianeggiante, attraversando il letto asciutto di un torrente e seguendo il segnavia 105 lasciamo sulla destra l’indicazione per il Passo Grande del Rondoi, e proseguiamo a sinistra. Ecco che il sentiero inizia a salire ripido, tra pini mughi, larici e grandi massi di calcare candido. In poco tempo guadagniamo molta quota e la vegetazione si fa sempre più rada. Ci voltiamo e il fondovalle ci appare lontanissimo. Vedo che Miriam accusa molto la salita anche se stiamo salendo piano, ma non mi preoccupo, abbiamo ancora tempo. Superiamo il guado di un piccolo torrente e proseguiamo non senza un po’ di fatica. Il paesaggio si fa sempre più brullo, quasi lunare, fa molto caldo ma non lo sto patendo, il sole è forte, come il suo riverbero sulla roccia bianca. Dovremmo essere a circa 2000 m, se non di più. Proseguiamo ancora un tratto sul ghiaione, il sentiero che si snoda serpeggiando tra massi e sfasciumi. A un tratto alla nostra destra appare una montagna particolarissima che si staglia contro il cielo azzurro con le sue guglie, quasi una mano che emerge dal ghiaione sottostante: è la Torre dei Scarperi, alta, solitaria, imponente. Devo ammettere che il panorama non ha la bellezza canonica di un paesaggio alpino, accogliente come il bosco attraversato scendendo da Plan de Corones. Qui la bellezza è spaventosa, austera, quasi ostile per l’uomo: è tutto arido, roccioso, franoso, quasi a voler respingere ogni forma di vita.
Abbiamo percorso l’ultimo tratto davvero lentamente, troppo lentamente. Miriam sta male, cerco di trainarla ancora un po’, ma non ce la fa. Inoltre inizia a preoccuparsi di perdere la navetta per tornare alla macchina, navetta che io avevo già messo in conto di perdere, anche se non glielo avevo detto per non spaventarla. Subito mi dice “vai avanti tu”, ma non è il caso. Non la voglio lasciare da sola, e comunque non si risolverebbe la situazione: la navetta la perderemmo lo stesso. Abbandoniamo l’impresa e torniamo indietro. Inutile dire che io sono arrabbiatissima, ovviamente con me stessa per aver sottovalutato la salita e sopravvalutato le nostre capacità, ma tant’è.
La discesa è un po’ più veloce e in un paio d’ore scarse siamo al parcheggio alto. Miriam decide che vuole comunque farmi contenta e, presa l’auto, ci dirigiamo verso Misurina e, da lì, al rifugio Auronzo, dove, vista l’ora, ci fermeremo a cena.
Le Tre Cime le vedrò lo stesso, anche se non come avrei voluto. Pazienza, mi resta un obiettivo da raggiungere!
Giorno 6, giorno di partenza. Oggi però dobbiamo per forza riposare. Lasciamo l’albergo e ci dirigiamo verso la piscina di Riscone. Miriam ne approfitta per fare qualche vasca, io per fare la lucertola sotto al sole. Alle 14 decidiamo che è ora di partire, non dopo essere rimaste di nuovo perplesse sull’offerta culinaria tirolese: non si trova una foglia di insalata nemmeno a pregare. L’unica pseudo-verdura che trovo sono delle patatine fritte.
Appena rimesse le ruote sulla A4 mi volto verso le montagne, verso quella dimensione verticale dove davvero mi sento a casa.
Chissà se l’anno prossimo varcheremo l’ultimo confine rimasto …
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lunedì 6 luglio 2015

Rêves de printemps



" ... Mi insegnò a seguire sempre il sogno. E a viverlo una volta raggiunto ..." 
(Walter Bonatti)

Post dedicato a tutti gli amici degli Abbracci Verticali, con i quali, chi più chi meno, si condividono giornate all'insegna della leggerezza e dell'allegria. Questo post è tutto per noi. Grazie di esserci!!!























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giovedì 14 maggio 2015

Il Climber sogna di volare ...

da leggere ascoltando: Negrita - L'uomo sogna di volare

Ci sono attimi che segnano un cambiamento, una netta linea di demarcazione tra un prima e un dopo; momenti in cui qualcosa di incomprensibile e altrettanto inaspettato ti scatta dentro; tu non capisci realmente cosa succede, ma puoi solo seguire il mood e vedere dove ti porta.
Qualcosa, in queste ultime settimane, è scattato dentro di me; io che, arrampicando, ho sempre avuto paura di volare,così tanta paura da non provare, a volte, passaggi perfettamente nelle mie corde; per non parlare di tiri al mio limite, che nemmeno mi sognavo di fare da uno. “Coniglite” la chiamo, dandole un nomignolo, quasi fosse una cara amica.
Invece, qualcosa dentro di me ha fatto click, come un interruttore virtuale che mi ha fatto passare in modalità “Coniglite OFF”.
Non so di preciso cosa sia stato, credo un insieme di cose; a partire da alcuni feedback positivi che ho ricevuto da parte di alcune persone praticamente sconosciute, apprezzamenti veramente disinteressati che hanno dato carica alla mia autostima, di recente messa a dura prova; aggiungiamoci anche il primo voletto semi-serio su uno stupido 4c galbiatese, dove un piede scivola via a causa dell’unto. Ed ecco che nella mia testa qualcosa è cambiato. E forse non ha nemmeno importanza cosa sia stato: mi godo il momento, prima che passi.

02 maggio.
È sabato, il sole splende, tira una leggera brezza che non fa patire il caldo. La compagnia è quella giusta, quella degli amici con cui so che mi divertirò, ma che mi spronano anche, soprattutto Giulia ed Elisa, cazzute quanto e più di molti ometti.
Siamo a Montestrutto e io mi sento a casa. A dire la verità questa roccia non mi piace, uno gneiss che riesce ad essere unto e scivoloso come il peggior calcaraccio, placche con pochi appigli sulle quali si deve scalare sempre in precario equilibrio. Niente zanche qui: il ciapa e tira non è contemplato.
Ma ci ho passato tutta un’estate su questi muri, e i tiri li conosco quasi tutti a memoria, anche se la maggior parte li ho fatti solo in moulinette, causa la “coniglite” di cui sopra. Mi sento stranamente confident oggi. Sono io la local e devo dare il buon esempio.
Inizio su un quinto, da prima. Poi un altro quinto.
Mi sento bene, mi sento spavalda. Guardo la famigerata “Morte”, 6a, l’unico tiro sempre libero del settore Carnevale. Sono agguerrita e voglio affrontarla. Parto. Sbaglio a salire dopo il primo rinvio, vado per funghi e mi trovo con un runout che mi farebbe arrivare in terra da oltre tre metri se cadessi.
Elisa, che mi assicura è preoccupata, ma io sono stranamente tranquilla. Valuto il da farsi, disarrampico un po’ e riprendo sulla linea corretta. Elisa si tranquillizza, io continuo a scalare. Mi sento bene e arrivo in catena.
A questo punto sono carica e provo a chiudere uno dei miei conti, “Il tiro delle arance”. Niente. Mi ha respinto fino allo scorso anno, mi respinge ancora. Pazienza, avrò un motivo per tornare a Montestrutto.
Ho ancora un sospeso qui, ed oggi è il giorno giusto per provarci. Convinco, o meglio, costringo tutti ad andare al settore Piccolo Cervino. Lì mi aspetta “Scala Jordan” un 5a, che di 5a ha poco. A me tocca un rinviaggio un po’ “volante”, visto che sono piccolina e ad un chiodo arrivo scomoda.
La guardo, la voglio.
Parto. Sono concentrata. Metto il primo rinvio; fino a qui è facile, salgo abbastanza tranquilla. Metto il secondo. Ok, ci siamo: ecco il pezzo porca troia … Mi costringo a stare concentrata, a pensare ai movimenti, all’equilibrio. A cercare, con calma qualcosa per le dita. Trovo qualcosa, salgo. Non arrivo a rinviare, porca troia! Calma, Grey, calma … alzo una mano, tengo una rughetta, alzo un piede, lo carico. Tiene. Rinvio. Yes!
Respiro, continuo a respirare. Salgo ancora. Un rinvio poi diventa più facile. La placca si appoggia, rinvio ancora. Un paio di movimenti ancora. Sono in catena!!
Nessuna paura. Solo controllo. Quasi non ci credo.
Accanto c’è un 5c che so essere difficile. Non l’ho mai provato, nemmeno in top rope.
Ci prova Teo. Perplessità negli ultimi cinque metri.
Click. La mia testa scatta. Lo voglio provare!
I primi metri sono delicati ma non così difficili. Tre rinvii, poi ecco il passaggio ostico.
Guardo la placca: è cattiva, molto cattiva. Non c’è nulla, un solo piede a destra, niente per le mani, se non quella che sembra una rughetta smagnesata, sempre a destra. Ma è lassù, ci devo arrivare.
Mi appendo, medito un po’, poi decido di provarci.
Faccio il primo movimento … Il chiodo è alle ginocchia … Adesso il piede a destra … Il chiodo si allontana … La mano sinistra in opposizione, sparo la destra dove vedo magnesite … ma cazzo! Fa schifo!!
Non la tengo … Volo …

09/05. Galbiate, calcaraccio lecchese unto per antonomasia.
I masculi scalano per conto loro un pò distanti.
Noi quattro donzelle per conto nostro, due cordate in rosa che si divertono a ravanare in una delle falesie storiche del lecchese, quella che mi ha bastonato tutte le altre volte che sono stata qui.
Oggi ho lasciato a casa la coniglite, la testa c'è, e le amiche aiutano. Sono le stesse amiche cazzute di Montestrutto e anche se questa falesia non mi piace e ne ho sempre avuto paura, oggi scalo, e lo faccio bene... monto i tiri, persino quello dove manca il secondo spit. Quando Elisa me lo fa notare, e mi dice che forse sarebbe meglio scegliere un altro tiro, rispondo "manca il secondo spit? va beh, andrò al terzo"… un mese fa avrei cambiato tiro.
Sono su un altro tiro, sul passo porca troia ... è lungo e io sono piccola. Vedo la tacca da prendere lassù, so che la terrei, se solo ci arrivassi, ma non ci arrivo e non trovo un piede buono per salire statica. È tutto unto, le scarpette in aderenza scivolano. Provo una volta a fare il passo, ma la scarpetta non sta lì dove voglio che stia. Il chiodo è sotto il piede, ma decido di fregarmene: se ci arrivo quella tacca la tengo, lo so. Ci devo arrivare. So cosa devo fare, in palestra lo faccio sempre, senza paura. Click. Avverto la socia che mi assicura "Occhio, Giulia, che volo!". Punto i piedi sugli unici appoggi buoni. Carico. Lancio. Arrivo alla tacca. La stringo. La tengo. Non volo. Urla di incitamento dal basso.
Oggi ne ho talmente tanto che quando devo scegliere un altro tiro mi guardo un po’ in giro e ne vedo uno che mi piace, che mi sembra un buon ravano. Nemmeno voglio sapere che grado sia, non voglio limitazioni mentali, non me ne importa. Voglio solo scalare e vado.

Torno a casa con il sorriso ebete. Sono felice, felice dei quinti, dei 6a, di averci sempre e comunque provato.

FUCK THE FEAR!
CLIMBING LIFE IS GOOD!!
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lunedì 20 aprile 2015

Caprie a primavera

Sono forumista sul forum di Planet Mountain da relativamente poco, un anno e mezzo circa; da pochissimo se si pensa alle persone che lo bazzicano da una decina d’anni (anno più, anno meno), con migliaia di messaggi all’attivo.
Scrivo poco ma leggo molto, per una mia idea di dover entrare sempre in punta di piedi nelle discussioni, soprattutto quelle tecniche, perché non so mai bene chi posso trovarmi davanti, o meglio dall’altra parte dello schermo; a parte alcune volte quando le discussioni hanno toccato temi per me molto importanti e mi sono sentita abbastanza punta sul vivo.
Di tutte questi nomi e questi avatar, mi sono fatta un’idea, un’immagine virtuale tutta mia, anche se so che difficilmente può corrispondere alla realtà dei fatti.
Ma quando si presenta l’occasione è bello andare a verificare quanto la mia idea si è scostata dal vero. E le occasioni di solito si presentano sotto il nome di raduni. Gli ultimi tre forum-raduni sono stati organizzati nel nord-est. Ad uno, quello di Rocca Pendice, ho anche partecipato.
Nei primi giorni di febbraio, durante l’organizzazione del secondo raduno al Sengio Rosso, Grizzly, forumista savonese, lancia l’idea di un raduno nel nord-ovest. Ed individua immediatamente anche la location: Caprie (TO), a primavera.
Inizia il balletto delle date e a gran voce viene proclamato papabile il weekend 11-12 aprile.
Caprie è a 1h 20’ da Cameri, si potrebbe fare anche in giornata. A Caprie sono già stata, per la precisione ad Anticaprie, e non mi era dispiaciuta, sebbene avessi patito parecchio il serpentino, questa roccia particolare che sembra sempre scivolosa anche se in realtà non lo è. Viste le premesse decido che l’occasione è golosa, e confermo subito la partecipazione.
Alla prima occasione utile ne discuto con il socio, che da febbraio si è trasferito in Liguria, e anche lui è dell’idea di partecipare.
Passano le settimane e via via prende forma quello che si prospetta un raduno di tutto rispetto: molte le adesioni da parte di veterani del forum, quasi tutti a me sconosciuti, a parte Danilo e Drugo che già conoscevo da Rocca Pendice. Parallelamente viene creato anche l’evento su facebook e quello che inizialmente dovrebbe essere un forum-raduno si trasforma in un raduno intrasocial.
Nonostante alcune defezioni, tutto sembra filare liscio e non abbiamo nemmeno l’incognita meteo, che le previsioni promettono caldo e soleggiato per tutto il fine settimana.
Il ritrovo è fissato al bar La Sosta Climb per le 9.30 elastiche (tanto elastiche che qualcuno si presenterà non prima delle 10.15).
Decido di non voler essere la prima ad arrivare, ben sapendo che in una occasione del genere qualcuno che arriva con estremo ritardo c’è sempre; quindi parto molto comoda alle 8.15 il sabato mattina.
Un’ora e trenta di autostrada, compresa sosta in autogrill per necessaria tappa bagno, e alle 9.45 parcheggio la mia Ypsilon al punto di ritrovo.
Lì trovo già un po’ di forumisti e facebookari, tra cui ArterioLupen, Payns e Drugo intenti a stappare le prime bottiglie di prosecco. Se il buongiorno si vede dal mattino si prospetta un gran bel raduno!!!
Per fortuna Marina ha portato un’ottima torta al cioccolato che stempera un po’ il bicchiere di prosecco che mi ritrovo in mano, senza che io abbia, per altro, fatto troppe obiezioni in merito.
Alla spicciolata arrivano tutti, anche chi era già entrato al bar: Giudirel, Ste-Manto, Vecchio, Jimmy, Batman, Sarella76 e il socio, e tutti gli altri … ultimi i liguri, tra cui anche il mio socio, che si faranno perdonare recando con sé una discreta quantità di focaccia.
Ci muoviamo verso la falesia alla spicciolata, destinazione Anticaprie. Io e il socio ci eclissiamo per cercare un bar per la seconda colazione, visto che la Sosta è sprovvista di brioches, quindi raggiungiamo il gruppo più o meno quando arrivano anche Danilo e Crodaiolo.
Sostanzialmente abbiamo invaso il settore, tanto che due local si stupiscono per la quantità di persone presenti di sabato mattina. Spieghiamo loro che siamo tutti insieme per un raduno. Strabuzzano gli occhi e decidono di andarsene …
Si scala tutti sulle placche di serpentino, qualcuno scompare sulle numerose viette di più tiri. Anticaprie non è mai banale e nulla è regalato, ma si vede quasi subito che lo spirito del raduno non è inneggiare al dio Grado, a meno che non si tratti del Grado Alcolico. Questo è un raduno godereccio, dove l’arrampicata fa da contorno ad un ritrovo di amici di lunga data che non si vedevano da molto, o di persone che proprio non si conoscevano ma che hanno piacere comunque a stare insieme.
Si fa a mala pena mezzogiorno che Grizzly comincia a distribuire focaccia e vino rosso.

Io devo rimettere in bolla la testa, che non c’è. Ho passato troppo tempo senza scalare, neanche in palestra, e devo riprendere la confidenza. L’uscita di Pasquetta mi ha tolto un po’ di ruggine, ma di sicuro non è bastata. Osservo la parete e decido di non strafare. Riprovo un 4+ che avevo già provato l’estate scorsa, mi ricordo che mi ero appesa un po’ di volte. Questa volta non mi appendo ma comunque non mi sento troppo a mio agio.
Il socio ha difficoltà anche lui, soprattutto per via di un piede malandato che gli procura molto dolore.
Dopo il quarto decidiamo di spostarci su un 6a che avevamo già provato, “Ocio”
MarcoAurelio riesce a montarlo ma con la difficoltà dovuta al male al piede. Io lo provo da due, ma un passo a metà lo devo azzerare perché non riesco a passare, nonostante svariati tentativi e approcci. Viste le condizioni fisiche di entrambi (MarcoAurelio potrebbe di più ma il piede non gli dà tregua), torniamo al settore dove sono tutti gli altri, che nel frattempo sono stati raggiunti da un coloratissimo Vigorone, e poi anche dai “veri climber” che si sono cimentati con le vie a più tiri.
Faccio ancora un quarto facile, per obbligarmi a scalare da prima, poi un 5b da seconda che non credo avrei salito da prima, a meno di estremi patemi.
Nel frattempo il vero spirito del raduno ha ripreso il sopravvento e rispuntano vino, focaccia, addirittura una colomba e un vassoio di sfilatini alle olive.
È chiaro che ormai non si scala più, ma la compagnia è allegra e caciarona, e ci si diverte anche a stare seduti a prendersi poco sul serio.

Il vero raduno, però, non è la giornata in falesia. Il vero raduno è la cena, per la quale ci ritroviamo tutti a La Sosta Climb. Purtroppo perdiamo Vigorone, ma guadagniamo Ncianca e Gibolla, presente solo alla cena.
Viste le premesse della giornata, la cena non poteva che essere un qualcosa degno degli annali dei raduni: i numeri ufficiali parlano di 34 partecipanti alla cena (compresi astemi e bambini) e 32 bottiglie di vino bevute.
Ampio giro di antipasti, due primi, e già al secondo è difficile arrivare con ancora un posticino nello stomaco. Una cena prevalentemente vegetariana che non credo abbia scontentato nemmeno i più carnivori. Io sono persino sopravvissuta alle noci nella pasta, delle quali mi sono resa conto troppo tardi … me la cavo solamente con qualche noia nei giorni a seguire …
Come se tutto ciò non bastatasse, Gibolla estrae dal metaforico cilindro un bottiglione di genepy home made grande più o meno come me …
Si narrano racconti quasi mitologici della fine della serata, alla quale non ho partecipato perché la stanchezza mi ha vinto prima di tanti altri … e che non si dica che era un raduno di vecchi!!

La domenica mattina le facce, però, non sono delle più sveglie e reattive … io necessito di ben due caffè che  mi vengono gentilmente offerti (grazie e ancora grazie!!); a qualcuno nemmeno il caffè è sufficiente, o così pare …
nonostante i postumi ci avviamo verso la Cava di Borgone: una falesia splendida per una fredda giornata invernale. Il 12 aprile, un forno!
Purtroppo il mio socio non riesce praticamente a fare nulla e si lascia prendere dallo sconforto. Così io mi ritrovo ad elemosinare una sicura prima da Danilo poi da Ncianca, dando prova della mia proverbiale coniglite.
Quando medito ad un ultimo tirello facile facile, arriva la proposta di Batman di fare con lui i due tiri della via normale. Detto fatto. Sarà la via più carina di entrambi i giorni. Peccato solo per il mio secchiello che molto stretto e aggressivo non ne vuole sapere di scorrere durante la calata in doppia. Me lo devo trascinare di forza e ci metto una vita a fare la prima calata. Fortunatamente con un paio di dritte di Batman, la seconda va via un po’ più rapida.
Si sono fatte le 15; tutti sono seduti all’ombra per non andare in ebollizione. Alla spicciolata sono già andati via Drugo, Jimmy, Ncianca, Danilo e Crodaiolo.
Il raduno si avvia alla conclusione. Visti gli animi, il caldo e la poca voglia ci trasferiamo nuovamente tutti alla Sosta per una birretta rinfrescante. Alla birretta si aggiungono patatine, panini, qualcuno estrae anche un salame e si stappano nuovamente un paio di bottiglie di rosso.
Degna conclusione di una due giorni enogastronomicamente piuttosto impegnativa!
Alle 16.30 decido che è giunto il momento di rimettermi in viaggio verso casa. Saluto tutti, saluto il socio, che tornerà verso la Liguria con Grizzly, e mi metto in auto.
Dovendo concentrarmi sulla strada, mi rendo improvvisamente conto di quanto mi gira la testa. Pregando di non incontrare nessuna pattuglia, penso a quanto mi sono divertita questo weekend, a quanto sono stata bene e rilassata dopo un periodo di intenso stress e incazzature varie.
Il sorriso ebete stampato sulla mia faccia non è dovuto solamente all’alcool che ho in abbondanza nelle vene, ma anche ad una due giorni che mi ha rimessa al mondo.
Grazie a chi a reso possibile tutto ciò, e ai presenti che hanno reso il raduno indimenticabile!

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sabato 21 marzo 2015

Quando la sf... ortuna decide di divertirsi...

Alcune giornate iniziano male, troppo male … e mentre sei in coda su una strada di montagna, in salita, col fondo reso sdrucciolevole dalla neve appena caduta, mentre aspetti che le quaranta auto che hai davanti ripartano, in testa hai un unico pensiero: invertire il senso di marcia e tornare a casa, perché quando gli Dei ti sono avversi, e contro hai la Sfiga, il Sole, la Luna e pure Saturno, ti sembra che insistere


non abbia senso.
Ma non lo fai; resti lì e aspetti, paziente. Ma solo perché la strada è troppo stretta.
La sfortuna, poi, quella mattina ce l’ha proprio con te e non smette di perseguitarti, al punto che, arrivata finalmente a San Domenico, alle 11 del mattino (quando dovresti aver già fatto non meno di tre discese), quando sei riuscita a trovare parcheggio, hai messo gli scarponi, afferrato la tavola e pagato lo skipass, quando, dicevamo, raggiungi la seggiovia per salire alle piste, ecco che questa si blocca per un guasto alla rete elettrica.
E allora, cosa resta da fare? Niente. Solo aspettare.
Guardi sperduta l’amica che con te ha condiviso il viaggio, si può dire, della speranza, con la quale hai condiviso il timore di non riuscire ad arrancare su per quella strada, che aveva bloccato auto sulla carta ben più performanti della tua piccola Ypsilon, vecchia di centosettantamila chilometri; l’amica alla quale hai chiesto: “e se non ce la facciamo?” e ti sei sentita rincuorare, l’amica che poco dopo hai rincuorato a tua volta, quando hai sentito la tua Ypsilon viaggiare grintosa sul fondo scivoloso, convinta ormai che in cima a quella strada ci saresti arrivata in un modo o in un altro.
E mentre aspettate vi guardate e basta, stanche di parlare, con solo la voglia di sentire la neve correre sotto la tavola.
Ma ecco che la seggiovia riparte e, seppur lentamente, iniziate la ripida salita verso le piste.
È già mezzogiorno, ma all’improvviso non importa più: il cielo è terso, di un azzurro che fa male agli occhi; il sole splende alto e la temperatura è più che gradevole; il panorama sul Veglia spettacolare; ma soprattutto la neve è semplicemente perfetta! Complice la nevicata finita nemmeno sei ore prima, le piste sono coperte di uno strato di soffice manto non completamente battuto, o non battuto del tutto.
È il paradiso dei tavolari: sulle piste battute non c’è traccia di ghiaccio, e gli snowboard galleggiano che è una meraviglia, mentre quelle non battute sono l’unico posto dove è consentito il fuoripista e sono già solcate da innumerevoli serpentine.
Tu e la socia vi lanciate immediatamente verso la prima seggiovia, quella che porta al Pizzo Dosso.
E se la prima discesa decidete di farla facile, un po’ timorose, perché è la prima della giornata e sapete che dovete risvegliare i muscoli intorpiditi da tante ore di auto, dalla seconda ci prendete gusto e affrontate le nere, colore che fino a quel momento vi aveva terribilmente spaventato. Ma complice la neve soffice, le piste adatte agli snowboarder e la voglia di macinare chilometri, oggi percorrete una nera dopo l’altra, su e giù da quei pendii, veloci e sicure. E dove la pista è più pendente azzardate anche un po’ in fresca.
Vi fermate giusto per un panino e poi di nuovo su e giù, dal Pizzo Dosso all’alpe Ciamporino, intercettando differenti piste.
Non riesci a pensare che quella giornata iniziata tanto male si rivela una delle migliori della stagione, e a quel punto te ne freghi della coda, dell’aver iniziato a mezzogiorno, del nervoso accumulato. La giornata è stata perfetta: due donne, due amiche, due snowboarder, la neve soffice e uno scenario magico.
A fine giornata scendete soddisfatte, incuranti che la sfiga è sempre lì dietro l’angolo.
E invece … e invece il parcheggio bisognava pagarlo con lo skipass …
NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!
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lunedì 16 febbraio 2015

A whiter shade of pale

... e quando sono quassù tutto ha un senso ...
... e poco importa se, una volta scesa,
la vita ritorna caotica e confusa come prima ...
... su queste vette tutto è pace dentro di me ...

















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