da leggere ascoltando: Negrita - L'uomo sogna di volare
Leggi tutto...
Ci sono attimi che segnano
un cambiamento, una netta linea di demarcazione tra un prima e un dopo; momenti
in cui qualcosa di incomprensibile e altrettanto inaspettato ti scatta dentro;
tu non capisci realmente cosa succede, ma puoi solo seguire il mood e vedere
dove ti porta.
Qualcosa, in queste ultime
settimane, è scattato dentro di me; io che, arrampicando, ho sempre avuto paura
di volare,così tanta paura da non provare, a volte, passaggi perfettamente nelle
mie corde; per non parlare di tiri al mio limite, che nemmeno mi sognavo di
fare da uno. “Coniglite” la chiamo, dandole un nomignolo, quasi fosse una cara
amica.
Invece, qualcosa dentro di
me ha fatto click, come un interruttore virtuale che mi ha fatto passare in
modalità “Coniglite OFF”.
Non so di preciso cosa sia
stato, credo un insieme di cose; a partire da alcuni feedback positivi che ho
ricevuto da parte di alcune persone praticamente sconosciute, apprezzamenti
veramente disinteressati che hanno dato carica alla mia autostima, di recente
messa a dura prova; aggiungiamoci anche il primo voletto semi-serio su uno
stupido 4c galbiatese, dove un piede scivola via a causa dell’unto. Ed ecco che
nella mia testa qualcosa è cambiato. E forse non ha nemmeno importanza cosa sia
stato: mi godo il momento, prima che passi.
02 maggio.
È sabato, il sole splende,
tira una leggera brezza che non fa patire il caldo. La compagnia è quella
giusta, quella degli amici con cui so che mi divertirò, ma che mi spronano
anche, soprattutto Giulia ed Elisa, cazzute quanto e più di molti ometti.
Siamo a Montestrutto e io
mi sento a casa. A dire la verità questa roccia non mi piace, uno gneiss che
riesce ad essere unto e scivoloso come il peggior calcaraccio, placche con
pochi appigli sulle quali si deve scalare sempre in precario equilibrio. Niente
zanche qui: il ciapa e tira non è contemplato.
Ma ci ho passato tutta
un’estate su questi muri, e i tiri li conosco quasi tutti a memoria, anche se
la maggior parte li ho fatti solo in moulinette, causa la “coniglite” di cui
sopra. Mi sento stranamente confident oggi. Sono io la local e devo dare il
buon esempio.
Inizio su un quinto, da
prima. Poi un altro quinto.
Mi sento bene, mi sento
spavalda. Guardo la famigerata “Morte”, 6a, l’unico tiro sempre libero del
settore Carnevale. Sono agguerrita e voglio affrontarla. Parto. Sbaglio a
salire dopo il primo rinvio, vado per funghi e mi trovo con un runout che mi
farebbe arrivare in terra da oltre tre metri se cadessi.
Elisa, che mi assicura è
preoccupata, ma io sono stranamente tranquilla. Valuto il da farsi,
disarrampico un po’ e riprendo sulla linea corretta. Elisa si tranquillizza, io
continuo a scalare. Mi sento bene e arrivo in catena.
A questo punto sono carica
e provo a chiudere uno dei miei conti, “Il tiro delle arance”. Niente. Mi ha
respinto fino allo scorso anno, mi respinge ancora. Pazienza, avrò un motivo
per tornare a Montestrutto.
Ho ancora un sospeso qui,
ed oggi è il giorno giusto per provarci. Convinco, o meglio, costringo tutti ad
andare al settore Piccolo Cervino. Lì mi aspetta “Scala Jordan” un 5a, che di
5a ha poco. A me tocca un rinviaggio un po’ “volante”, visto che sono piccolina
e ad un chiodo arrivo scomoda.
La guardo, la voglio.
Parto. Sono concentrata.
Metto il primo rinvio; fino a qui è facile, salgo abbastanza tranquilla. Metto
il secondo. Ok, ci siamo: ecco il pezzo porca troia … Mi costringo a stare
concentrata, a pensare ai movimenti, all’equilibrio. A cercare, con calma
qualcosa per le dita. Trovo qualcosa, salgo. Non arrivo a rinviare, porca
troia! Calma, Grey, calma … alzo una mano, tengo una rughetta, alzo un piede,
lo carico. Tiene. Rinvio. Yes!
Respiro, continuo a respirare.
Salgo ancora. Un rinvio poi diventa più facile. La placca si appoggia, rinvio
ancora. Un paio di movimenti ancora. Sono in catena!!
Nessuna paura. Solo
controllo. Quasi non ci credo.
Accanto c’è un 5c che so
essere difficile. Non l’ho mai provato, nemmeno in top rope.
Ci prova Teo. Perplessità
negli ultimi cinque metri.
Click. La mia testa
scatta. Lo voglio provare!
I primi metri sono
delicati ma non così difficili. Tre rinvii, poi ecco il passaggio ostico.
Guardo la placca: è
cattiva, molto cattiva. Non c’è nulla, un solo piede a destra, niente per le
mani, se non quella che sembra una rughetta smagnesata, sempre a destra. Ma è
lassù, ci devo arrivare.
Mi appendo, medito un po’,
poi decido di provarci.
Faccio il primo movimento
… Il chiodo è alle ginocchia … Adesso il piede a destra … Il chiodo si
allontana … La mano sinistra in opposizione, sparo la destra dove vedo
magnesite … ma cazzo! Fa schifo!!
Non la tengo … Volo …
09/05. Galbiate,
calcaraccio lecchese unto per antonomasia.
I masculi scalano per
conto loro un pò distanti.
Noi quattro donzelle per
conto nostro, due cordate in rosa che si divertono a ravanare in una delle
falesie storiche del lecchese, quella che mi ha bastonato tutte le altre volte
che sono stata qui.
Oggi ho lasciato a casa la
coniglite, la testa c'è, e le amiche aiutano. Sono le stesse amiche cazzute di
Montestrutto e anche se questa falesia non mi piace e ne ho sempre avuto paura,
oggi scalo, e lo faccio bene... monto i tiri, persino quello dove manca il
secondo spit. Quando Elisa me lo fa notare, e mi dice che forse sarebbe meglio
scegliere un altro tiro, rispondo "manca il secondo spit? va beh, andrò al
terzo"… un mese fa avrei cambiato tiro.
Sono su un altro tiro, sul
passo porca troia ... è lungo e io sono piccola. Vedo la tacca da prendere
lassù, so che la terrei, se solo ci arrivassi, ma non ci arrivo e non trovo un
piede buono per salire statica. È tutto unto, le scarpette in aderenza
scivolano. Provo una volta a fare il passo, ma la scarpetta non sta lì dove
voglio che stia. Il chiodo è sotto il piede, ma decido di fregarmene: se ci
arrivo quella tacca la tengo, lo so. Ci devo arrivare. So cosa devo fare, in
palestra lo faccio sempre, senza paura. Click. Avverto la socia che mi assicura
"Occhio, Giulia, che volo!". Punto i piedi sugli unici appoggi buoni.
Carico. Lancio. Arrivo alla tacca. La stringo. La tengo. Non volo. Urla di
incitamento dal basso.
Oggi ne ho talmente tanto
che quando devo scegliere un altro tiro mi guardo un po’ in giro e ne vedo uno
che mi piace, che mi sembra un buon ravano. Nemmeno voglio sapere che grado sia,
non voglio limitazioni mentali, non me ne importa. Voglio solo scalare e vado.
Torno a casa con il
sorriso ebete. Sono felice, felice dei quinti, dei 6a, di averci sempre e
comunque provato.
FUCK THE FEAR!
CLIMBING LIFE IS GOOD!!