martedì 16 settembre 2014

Ponte Brolla - Zombilio + Quarzader



Domenica 31 agosto.
Le ferie sono finite da una settimana e si torna di nuovo a scalare nel weekend. Il socio storico, con il quale non siamo quasi mai riusciti a trovarci durante le mie settimane di vacanza, si rende disponibile per la domenica. Ho le mezze corde che scalpitano, abbandonate nell’armadio a muro in stanza: hanno voglia di uscire in ambiente e io di andare con loro.
Per questo propongo una via invece della solita falesia. Inizialmente vorrei andare ad Arnad, al Paretone, a rifare Bucce d’Arancia con la quale ho un conto in sospeso da un paio d’anni. Ma guardo il meteo e le temperature previste non mi convincono. Alla ricerca di idee capito, come spesso accade, sul sito dei Sass Baloss e trovo la relazione della via Quarzo (o Quarzader, che dir si voglia) agli Speroni di Ponte Brolla. Da quanto trovo scritto mi sembra interessante. Scartabello ancora un po’ e trovo una relazione un po’ più scarna su Gulliver. 11 tiri, 380 metri di sviluppo 5b obbligato, 5c+ massimo. L’accoppiata Sass Baloss + Gulliver mi convince e la propongo al socio, al quale l’idea piace.
Luca, su facebook, me la sconsiglia e mi dice di portarmi molta molta acqua, aggiungendo che si tratta di una delle vie più brutte che abbia mai fatto, sulla quale ha patito tanto la sete.
Le previsioni però danno nuvoloso e non troppo caldo; inoltre io e Luca abbiamo tendenzialmente uno stile di arrampicata molto diverso, quello che piace a me non piace a lui e viceversa. Quindi considero la sua bocciatura di buon auspicio.
Domenica, ore 7, si parte, destinazione Svizzera.
Più ci avviciniamo alla frontiera e meno il meteo sembra aiutarci.: a Verbania pioviggina; a Cannobio piove. Eppure il meteo svizzero non prevedeva pioggia. Il nostro umore, seguendo il peggiorare del tempo, si fa via via più nero.
Arrivati alla frontiera, però, quasi incredibilmente non piove più e varcato il confine è tutto asciutto.
Raggiungiamo abbastanza facilmente la Valle Maggia e il punto dove parcheggiare l’auto seguendo le indicazioni trovate su internet. Ci sono molte altre auto, sintomo che la zona è piuttosto frequentata.
Alla macchina ci imbraghiamo, prepariamo l’attrezzatura, gli zaini leggeri con l’acqua e la frutta per sopravvivere alla via, prendiamo una mezza a testa e saliamo lungo il sentiero, che è ripido ma abbastanza agevole. In 20 minuti circa arriviamo all’attacco, anche se impieghiamo un po’ di tempo per individuarlo.
Vediamo che però ci sono ben tre cordate davanti a noi, una alla prima sosta e due pronte a partire. Noi saremmo la quarta cordata sulla via e sinceramente l’idea non mi fa impazzire. Propongo a Gabry di fare la via che corre subito accanto a Quarzader, Zombilio, sulla quale c’è solamente una cordata che sta già liberando la S1, ed è solo leggermente più facile; inoltre Zombilio termina dopo 7 tiri congiungendosi con Quarzader alla sua sesta sosta. Da lì poi possiamo proseguire con gli ultimi 5 tiri dell’idea originale.
Vada per Zombilio. Partiamo con 20 rinvii (16 di Gabry, 4 miei), ma non serviranno mai tutti, anzi, probabilmente sarebbero bastati i 16 di Gabry, ma noi preferiamo avere sempre qualche rinvio in più, nel caso si renda necessario aiutare l’A0. Usiamo, le mie “Contorte”, due mezze da 60 metri.

Tiro 1: sale Gabry da primo, io da seconda. Placca feroce ma ben chiodata. I primi metri si salgono in aderenza pura, tutti gli appigli più buoni sono rovesci. Se il buongiorno si vede dal mattino … per fortuna da metà tiro in poi si segue una vena leggermente più lavorata, ma sempre su placca e sempre su micro apppigli, e appoggi svasi. È data 4c … boh …

Tiro 2: prendo coraggio e lo tiro io da prima. Proseguo su questa vena leggermente rugosa per poi raggiungere una frattura da seguire. Il tiro è ben chiodato e la sosta tutto sommato comoda. La danno 4c … va beh, sarà … non riesco a dare un giudizio, sono talmente concentrata a scalare che non mi rendo conto di nulla, nemmeno di avere usato i miei rinvii e non quelli di Gabry. Me ne accorgerò soltanto al tiro successivo al momento di recuperare il materiale. E sì che sono ben diversi …

Tiro 3: sale di nuovo Gabry da primo, ancora sulla placca seguendo una vena di piccoli quarzi che non crea grandi problemi neppure a me. Nuovamente un tiro ben chiodato. La sosta non è così comoda. 4c

Tiro 4: di nuovo io da prima, di nuovo senza grandi problemi su placca ben chiodata gradata 4c. La sosta è comoda e Gabry si lamenta che a lui capitano sempre e solo soste scomode.

Tiro 5: parte Gabry su quello che è sicuramente il tiro chiave della via Zombilio. Inizialmente si sale dritti sulla placca cercando appigli e appoggi sfuggenti, in ultimo si traversa verso Quazader, con movimenti per nulla banali perché sempre su appigli e appoggi precari. La chiodatura è sempre ottima, ma il tiro è decisamente più tecnico dei precedenti e la gradazione 4c sembra davvero un po’ strettina.

Tiro 6: tocca di nuovo a me e questa volta incontro difficoltà. La placca davanti a me è davvero liscia. Trovo per la mano destra una rughetta quasi verticale che mi faccio bastare per alzare i piedi e rinviare. Adesso sulla destra ho due ottimi buchi, ma da lì probabilmente non riuscirò a rinviare di nuovo. Dritto per dritto mi sembra impossibile salire. Cerco una soluzione, una alternativa, ma il cervello si spegne. Fine delle trasmissioni. Vado nel panico e chiedo un bloccaggio. Respiro. Mi concentro. Osservo bene la roccia. Respiro. Mi concentro. Riparto e … faccio il passo. Rinvio. Il resto del tiro è nettamente più facile e scalabile, molto più articolato e ottimamente chiodato. 4c, sosta comoda.

Tiro 7: parte Gabry. Tiro di placca plaisir, c’è solo un bel runout a metà, quasi insolito per una via chiodata così bene in tutti i tiri, ma comunque sul facile. 4c. Sostiamo alla S6 di Quarzader, un paio di metri più su della S7 di Zombilio, ma più comoda e utile perché vogliamo proseguire. Ci fermiamo un po’ per scalzare le scarpette, mangiamo una mela, consultiamo le relazioni perché da qui la via si fa più impegnativa.

Tiro 8: riparte Gabry, perché il tiro chiave della via Quarzader è il nono, che però, avendo fatto un tiro in più sulla Zombilio, adesso diventa il decimo, e non me la sento di tirarlo io. Qui la via si fa decisamente più verticale. Si sale per lame facili fino ad uno sperone, da lì si passa sotto un tetto che va aggirato a sinistra con passo delicato (soprattutto per i piedi) in traverso, da lì si sale ancora e si trova la sosta, che però è comoda solo per assicurare il secondo di cordata, ma non per assicurare il primo sul tiro successivo. Per fare quello ci si deve spostare oltre lo spigolo su un comodo terrazzino. 5a+
Sarebbe un tiro meraviglioso se io non avessi i piedi cotti e dolorantissimi. Ho addirittura vesciche sotto le dita dei piedi. Per il dolore non riesco a scalare bene, non riesco a caricare i piedi e scalo completamente deconcentrata. In effetti un paio di soste fa avevo domandato a una cordata di italiani perché scendessero tutti alla S7 e la risposta è stata “male ai piedi”. Non vi avevo dato importanza, ma adesso capisco.
Chiedo a Gabry se se la sente di tirare lui tutti i restanti quattro tiri.

Tiro 9: si inizia salendo per facili risalti cercando di evitare di calpestare i ciuffi di erica selvatica. Si continua poi verso sinistra verticalmente per roccette lavorate fino ad una sosta. ma questa prima sosta scomoda va saltata per salire fino ad un terrazzino dove si trova una sosta molto più comoda, dove ci si può sedere e riposarsi anche un po’. Continua la mia lotta al mal di piedi, ogni passo è una sofferenza e non riesco a caricare i piedi, non li sento, anzi, sento solo il male, non so mai se terranno oppure no. Azzero tutto l’azzerabile, anche se i passaggi non sono così complicati e so che in falesia un tiro simile lo farei tranquillamente da uno. Chiodatura buona, 5b. Alla sosta ci fermiamo per un po’. I miei piedi hanno bisogno di riposo e ne approfittiamo per fare qualche foto “aerea”. peccato per il panorama un po’ troppo industrializzato …

Tiro 10: è il tiro chiave della via Quarzader (sarebbe il 9), dato 5c+, 5b/A0. Si sale verticalmente sfruttando delle concrezioni di quarzo che assomigliano più a dei bitorzoli. Il passo duro è il traverso verso sinistra a metà tiro, abbastanza esposto e con passi di 6a. Però è azzerabile. E io, modestamente, azzerai …

Tiro 11: è il tiro più bello e caratteristico della via. Si sale lungo una vena di quarzo, utilizzando le tante concrezioni. Tiro bello, verticale, vario e divertente. A parte l’attacco che mi ha messo in non poca difficoltà, visto che si deve risalire uno spuntone boulderoso, con appigli molto alti e solo un cordino, niente di buono per i piedi. Mi sono issata usando il cordino e spalmando un piede e un … ginocchio … va beh, l’eleganza la terremo per un’altra volta … 5b. I piedi fanno un po’ meno male (o forse fanno talmente tanto male da non sentirli più) e riesco a scalarla.

Tiro 12: si sale inizialmente per una fessura ben ammanigliata, poi la placca si appoggia notevolmente per arrivare in sosta. Tiro finale senza infamia e senza lode. 4c

Arrivati in sosta tiro un sospiro di sollievo: è finita, è finita la sofferenza! È tanto bello indossare calze e scarpe da avvicinamento che quasi mi commuovo. Dopo aver recuperato l’attrezzatura cerchiamo il sentiero di discesa. Vediamo una traccia seminascosta dall’erba alta; ci incamminiamo, pensando, o forse sperando, che la traccia migliorerà. Ci sbagliamo. Impieghiamo più di due ore per scendere, lungo una traccia poco intuibile, una non-traccia che porta a guadare due torrentelli su rocce viscide e poi a scendere per risalti e roccette, poco agevoli e molto faticose, rischiando più e più volte di scivolare, inciampare e ruzzolare. Avremmo fatto molto meglio a calarci in doppia.

Nel complesso una via divertente, peccato solo che la parte più bella arrivi dopo 6/7 tiri di placca appoggiata, correndo il rischio di cuocersi i piedi se non si hanno scarpette adatte allo spalmo.
La chiodatura è sempre buona ma i gradi, a mio parere, sono un po’ stretti, soprattutto su Zombilio.
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giovedì 4 settembre 2014

Nuove scarpe, vecchie canzoni



Dovrei guardare dove metto i piedi, lo so. Anche se il sentiero è facile, farsi male in discesa è un attimo. Una buca, una pietra, del fango e ti ritrovi gambe all’aria.
Ma le scarpe nuove mi danno una sicurezza del tutto diversa. Quelle vecchie mi hanno definitivamente abbandonata ieri, lungo il sentiero che sale in vetta al Mont Chetif, un itinerario poco impegnativo per me, evidentemente non per un paio di scarpe con alle spalle sei anni di onorato servizio.
Quanta tenerezza mi hanno fatto, così rotte, vecchie e sporche, con il goretex strappato in più punti e la suola così consumata da non aderire neppure al più semplice dei terreni.
Mi sono sembrate così tristi, con il loro colore grigio topo e le stringhe ormai sfilacciate, attempate compagne di mille passi su e giù per pietre e sentieri, alla scoperta della montagna nei suoi mille aspetti, tristi quasi fossero consapevoli di essere giunte al capolinea, quasi capissero che stavano per essere sostituite da un paio di scarpe nuove di zecca, leggere, colorate, allegre, che ho dovuto acquistare perché non potevo proseguire la vacanza senza scarpe!
Ho salutato le scarpe rotte col doveroso rispetto che meritano delle vecchie amiche e, indossate le nuove e sgargianti compagne di cammino, mi trovo ora a percorrere un tratto dell’alta via n°2 della Valle d’Aosta, nel punto che dal rifugio Elisabetta scende a Courmayeur.
Il freddo pungente incontrato sul Col de la Seigne ha lasciato il posto ad un tiepido sole che non riesce a scaldare troppo l’aria frizzante di una stagione poco favorevole dal punto di vista meteorologico, ma che comunque mi permette di chiudere nello zaino la giacca da snowboard. Anche il vento è calato non appena abbiamo oltrepassato il rifugio Elisabetta.
Le Pyramides Calcaires, imponenti isole di puro calcare bianco in quel mare di granito che è il Massiccio del Monte Bianco, sono ormai alle nostre spalle, così come l’Aiguille des Glaciers, l’Aiguille de Trélatête e il loro ghiacciaio di Lex Blanche.
Ogni tanto mi volto ad osservare la distesa erbosa che racchiude tutte le tonalità del verde, punteggiata dai bianchi, viola e gialli dei fiori, dagli spinosi cardi e abitata prevalentemente da timide marmotte, che in questo luogo così timide non sono, ma sbucano curiose a gruppi di quattro o cinque per poi scomparire veloci quando i nostri piedi umani sono a pochi metri da loro.
La parte più difficile del tracciato è superata. Davanti a me la valle comincia a declinare più dolcemente, solcata da un reticolo di rigagnoli azzurri, più o meno ampi, che interrompono il verde intenso dei prati. Vedo la strada, una serpeggiante striscia marrone, che diventa grigia in prossimità delle prime conifere.
Dovrei guardare bene dove metto i piedi, ma non riesco a staccare gli occhi dal paesaggio che ho davanti: le imponenti vette del gruppo del Monte Bianco si stagliano nitide contro un cielo di un azzurro tanto intenso da far quasi male allo sguardo. Davanti a me l’Aiguille Noire, scura, aguzza, imponente e severa, dietro la quale, più rotonde e massicce, ma altrettanto maestose compaiono le Aiguilles Blanches, scintillanti di neve e ghiaccio; alle loro spalle si intravvedono le cime più alte delle Grandes Jorasses, e poi ancora il Monte Bianco, parzialmente coperto dalle vette più vicine, il Grand Combin, il più modesto Mont Chetif … una vista tanto spettacolare da togliere il fiato.
Io e le mie socie di trekking camminiamo ormai da cinque ore. Non ho idea se anche loro provano lo stesso attonito stupore, la stessa meraviglia che mi azzera le parole, ma da un paio d’ore a questa parte tra noi è calato il silenzio. Io mi sto godendo la camminata, la fatica, il sole e il paesaggio, e credo che anche loro siano nel mio stesso stato d’animo.
Ad un tratto Miriam inizia a canticchiare una vecchia canzone italiana, forse per interrompere l’assenza di dialogo, forse per non pensare alla fame e alle gambe stanche, e alle due ore di cammino che ancora ci attendono; immediatamente la seguo e nel giro di pochi istanti cantiamo a squarciagola, più o meno a tempo, più o meno intonate, non badando agli altri escursionisti che ci guardano attoniti e un pochino divertiti. Clara, che non parla italiano e non conosce la canzone, ci ascolta ridendo.
Cantiamo e cantiamo, Vasco, Mina, Vecchioni e De Gregori; cantiamo e cantiamo, e intanto i piedi vanno, un passo dopo l’altro, un metro dopo l’altro.
La strada si fa più agevole e si immerge nel bosco di conifere via via che scendiamo verso Courmayeur. L’Aiguille Noire si avvicina, si fa più imponente e maestosa. Non posso fare a meno di pensare a quanto mi piacerebbe scalarla, a quanto mi piacerebbe posare mani e scarpette su quella guglia di granito nero che non sarò mai in grado di salire. E mentre i miei occhi la frugano, ricercando le linee logiche di salita, raggiungiamo l’albergo, la nostra destinazione, posto proprio sotto il ghiacciaio della Brenva.
Un saluto a Clara, compagna improvvisata, poi io e Miriam saliamo in stanza. Una doccia veloce, un riposino e poi … Pizza!!


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