lunedì 22 aprile 2013

Demetra


Un pallido sole sorgeva da est; bucava con i suoi freddi raggi rosa gli stracci di nebbia che ancora ricoprivano il paesaggio e lentamente illuminava prati, campi e alberi, ancora spogli e ricoperti da uno scintillante manto di neve ghiacciata.
La donna sedeva avvolta in un ampio mantello, fissando l’immacolato declivio, e attendeva. Il volto sereno non traspariva impazienza. Sapeva che sarebbe giunta, a suo tempo.
Attendeva così da alcuni giorni. Lo sentiva nel profumo dell’aria che ormai il tempo era giunto; lo sentiva nel sole, che premeva sempre più e sempre più a lungo; lo sentiva nella terra, nell’impazienza della vita che fremeva per ricominciare a scorrere.
Faceva freddo lassù, e tutto quel bianco faceva male agli occhi. Lo spettacolo che si apriva davanti ai suoi occhi sarebbe stato di una bellezza mozzafiato, se non fosse stato per il sentore di morte che portava con sé. Ma la donna sapeva che nulla era perduto, che lei sarebbe tornata. Non oggi, non domani, ma sarebbe tornata.
“Quando?” le domandavano i boschi addormentati.
“Quando?” le domandavano i torrenti ghiacciati.
“Presto” rispondeva, “presto tornerà”.
Aveva stretto un patto, con lui.
“Non la lascerò” le aveva detto, folle d’amore, “lei è mia”
“Dovrai lasciarla, lei non è tua. Trattienila a forza e tutto sarà freddo e triste e vuoto. E tu pagherai per il tuo egoismo”.
“Pagherò, ma lo faremo entrambi”.
“E sia”
Così la donna attendeva, seduta, avvolta in un ampio mantello. Il volto sereno di chi attende da molto, ma sa di non farlo invano. Perché molte e molte volte aveva atteso e mai aveva atteso invano. Lui non aveva mai tradito il loro accordo e lei era sempre tornata.
Ma non fu in quel giorno.
La donna vide il sole ritirarsi e la luna levarsi all’orizzonte, così pallida e bella che quasi si poteva credere di prenderla per mano. Poco importava, si sarebbe seduta lì anche domani e il giorno dopo e il giorno dopo ancora.
Si alzò con un sospiro, e si allontanò con incedere lento ma elegante. Pareva nemmeno sfiorare il terreno, o forse era la terra che a malapena osava sfiorare i suoi passi.

I giorni si inseguivano lenti, tutti simili nell’attesa. La donna sedeva avvolta nel suo ampio mantello a fissare l’orizzonte. Il mondo pareva rimanere immoto, sempre uguale, sempre freddo. Eppure ogni giorno percepiva il cambiamento. Era una variazione piccola, insignificante, che un qualunque essere mortale non avrebbe potuto notare, ma lei poteva leggerla ovunque intorno a sé. E ogni giorno si sedeva sul masso piena di speranza, ed ogni sera si allontanava con qualche speranza in più.

E poi accadde.
Accadde che la trovò seduta dove la donna l’aveva a lungo attesa. La vide da lontano e subito la riconobbe, perché solo lei era così bella e sorridente, avvolta nella sua ricca veste blu come un lago di montagna.
Sedeva tranquilla, come se fosse lì da sempre, e in un certo senso era sempre stata lì. Come fosse tornata non le era dato sapere, ma era tornata, solo questo importava.
Si fermò e la fissò da lontano.
Quanto era bella!
Attorno a lei era la primavera, attorno a lei splendeva il sole. I suoi piedi non poggiavano sul declivio innevato, ma su un tappeto di fiori.
Intorno a lei era tutto un brulicare di luci e colori e profumi. L’aria era tersa e frizzante, profumata del dolce sentore dei fiori.
La natura la acclamava, viva, festante, acclamava il ritorno della Regina, che lì regina non era.
Perché lì era solo sua figlia, la sua splendida figlia Persephone.
Si abbracciarono, madre e figlia, in un primo abbraccio che si ripeteva da anni, secoli, millenni, un abbraccio che sapeva di nuovo e di antico, un abbraccio che segnava il trascorrere del tempo e delle stagioni, sempre nuove ma sempre uguali a se stesse, un abbraccio che sapeva, finalmente, di primavera.
Leggi tutto...

martedì 9 aprile 2013

Happy Easter


Una cosa avrei dovuto imparare durante il fine settimana di Pasqua: il colore non deve essere un parametro fondamentale nella scelta dell’attrezzatura d’arrampicata.
Chi mi conosce sa che ho una fissazione per l’attrezzatura di colore blu: corda, scarpette, imbrago, zaino, secchiello e anche un moschettone ghiera HMS, marca CAMP, acquistato pochi mesi fa all’inizio del corso e utilizzato pochissimo e quasi esclusivamente per agganciare il secchiello all’imbrago.
Ora, non ho nulla di personale contro il marchio CAMP, ma a causa di quella ghiera ho rischiato di dover chiamare il soccorso alpino per farmi recuperare da un monotiro in falesia, con conseguente figura da pollo inesperto. Credo di aver passato i peggiori 20 minuti della mia vita, e non è una frase retorica: non è una situazione simpatica ritrovarsi agganciati alla sosta tramite una longe senza più riuscire ad aprire la ghiera del moschettone, con nessun altro in falesia se non il socio che assicura.
Pomeriggio di Pasqua. Dopo due giorni di pioggia incessante, finalmente vediamo un raggio di sole. Io e Matteo ci accordiamo per una capatina in falesia, complice anche il ritorno all’ora legale che ci permette di avere luce fino dopo le sei di sera. Destinazione falesia I Cavalieri, Gravellona Toce.
Arriviamo sotto alle vie attorno alle tre del pomeriggio, già un pochino tardi, ma c’è abbastanza tempo per tre tiri a testa. Non è molto ma ci accontentiamo.
Sono quasi le cinque e mezza quando salgo sul terzo tiro, un quarto un po’ ingaggioso verso la fine, dal quale non ho voglia di farmi bastonare, e che quindi decido di accorciare complice una catena, appartenente a non si sa bene quale via, messa all’altezza del penultimo spit e raggiungibile con un divertente passetto in traverso. Quella variante, comunque, mi soddisfa perché ho sempre un po’ di timore nell’affrontare i traversi e quello non è banale, anche se non difficile. E in ogni caso non sono sicura che non sia proprio la via corretta, perché la chiodatura non è chiara.
Arrivo, quindi, in catena, mi assicuro con la longe, chiudo la ghiera del moschettone, come mi è stato insegnato e ripetuto più e più volte durante il corso, aprendola poi di un mezzo giro perché, si sa, a fine corsa le ghiere possono incastrarsi. Soddisfatta mi adopero con la manovra in sosta. Tutto tranquillo, tutto normale. Nel giro di un paio di minuti finisco e chiedo al socio di mettermi in tiro. Tutto a posto; posso sganciare la longe e farmi calare.
La ghiera non si apre …
Ok, mi dico, niente panico, ho le mani un po’ sudate e non riesco a fare bene forza; tampono un po’ le mani sui pantaloni e riprovo. Niente. Riprovo con l’altra mano. Niente. Riprovo ancora … nulla. Oh, cazzo! Mi viene il dubbio di sbagliare il senso in cui tento di svitare la ghiera: devo girare in senso antiorario, lo so per certo, ma so anche di avere qualche difficoltà a riconoscere la destra e la sinistra in situazioni normali, figuriamoci senso orario e antiorario appesa in sosta con un moschettone che non si apre! Prendo un altro moschettone dall’imbrago, lo posiziono virtualmente uguale al CAMP e controllo: sto girando nel senso corretto, cazzo! Avrei preferito sbagliarmi, almeno avrei capito cosa sta succedendo.
Ok, niente panico. Prendo magnesite per fare più attrito. Nulla, la ghiera non si muove di un millimetro. Provo e riprovo. Tento anche di chiuderla, nella speranza di riuscire a sbloccarla, ma nulla, il moschettone non collabora. Mi sta salendo l’ansia.
Da sotto Matteo mi urla di stare tranquilla, anch’io continuo a ripetermi “niente panico”, ma in realtà comincio davvero ad avere un po’ di paura: è quasi buio, sono appesa a 20 mt da terra, attaccata ad una catena con un moschettone che non riesco a sganciare e non c’è nessuno che possa salire ad aiutarmi. Insisto; devo liberarmi da questa situazione, perciò continuo a provare a girare la ghiera fino a farmi male alle dita; provo e riprovo, sbatto la ghiera contro la roccia, provo a tirare il moschettone verso di me per smuovere un po’ il filetto, provo anche a comprimerlo longitudinalmente, per lo stesso motivo. Nulla, niente, non si gira.
Sto per mettermi a piangere: ho finito le opzioni e non so più cosa fare. Non riesco più a fare forza con le dita perché mi fanno male e il moschettone non si sgancia. Guardo Matteo, che sulla mia faccia, credo, legge la disperazione del momento. Mi incita a continuare, ad insistere.
Ho perso la cognizione del tempo, non so più da quanto tempo sono appesa qui. Gli sto per gridare: “Chiama i soccorsi” quando improvvisamente la ghiera si sblocca e inizia a ruotare, inspiegabilmente così come si era bloccata.
Fortunatamente è finito tutto bene, e questo piccolo incidente non ha compromesso il pomeriggio. Però è stata molta la paura, soprattutto perché ancora non mi è chiaro il motivo che ha causato il bloccaggio del moschettone. A lasciarmi ancora più perplessa è il fatto che anche Matteo possiede un moschettone identico, e che anche quello si è bloccato poco prima che si bloccasse il mio. Coincidenza? Casualità? Oppure effettivamente quel modello di moschettone non è il migliore in commercio? Non lo so. Non sono abbastanza esperta per poterlo capire. So solo che non mi fiderò più ad agganciarmi in sosta con il moschettone in questione, che infatti è stato immediatamente destinato all’inutilizzo e agganciato ad un anello dello zaino dove servirà a tenere ferma la corda durante gli avvicinamenti. 

PS: per dovere di cronaca, ad una settimana di distanza, ieri sera ho dedicato un’oretta di tempo ad un’accurata pulizia di tutta l’attrezzatura. La ghiera del moschettone CAMP, anche dopo averla pulita con estrema attenzione, continua a sforzare e tende a bloccarsi a fine corsa.

PPS: ieri pomeriggio ho passato un paio d’ore alla Decathlon di Corsico. Ho trovato un set di rinvii Black Diamond: sono stupendi, sono blu!!!
Leggi tutto...

giovedì 4 aprile 2013

First Times in Montestrutto


Domenica 3 marzo 2013.
Ho una voglia matta di scalare. Le ultime due domeniche di bel tempo le ho passate sulla neve cercando di non farmi dominare da una tavola da snowboard. Dire che ha vinto lei è un eufemismo, per cui la mia (scarsa) autostima ha bisogno di tornare su un terreno a me più consono.

La scorsa domenica era in programma una bella uscita con un bel gruppo di amici, ma, ahimè, il meteo non ci ha agevolati e, causa una fitta nevicata, abbiamo dovuto rimandare la gita a data da destinarsi. Da parte mia ho aggiunto anche una lieve influenza che, per quanto non mi abbia impedito di recarmi alle urne a compiere il mio dovere di cittadina italiana, mi ha sottratto tutte le forze appena dopo l’ora di pranzo, costringendomi ad una poco gloriosa ritirata sotto il piumone. Guardando fuori dalla finestra  ho ringraziato la neve che, provvidenziale, mi ha impedito di fare, come mio solito, il di più: se ci fosse stato bel tempo non avrei sicuramente dato forfait, sarei andata in falesia provando a scalare, perché “Moriar stando contempturus animam, quam mihi febricula eripiet una” (Flavio Costante Giuliano).

Oggi, invece, il tempo è splendido!

Il meteo, controllato febbrilmente tutti i giorni della settimana appena trascorsa, prometteva sole e temperature accettabili. Non si sono sbagliati. Però del nutrito gruppo di amici, siamo rimasti solo io e Gabriele; tutti gli altri, essendosi tenuti liberi per la domenica precedente, oggi non potevano. Pazienza, per scalare è sufficiente essere in due, così alle otto partiamo da Trecate diretti verso Montestrutto.

Falesia sconosciuta Montestrutto. Mi dicono molto bella, con tiri anche facili, ottimamente chiodata e ben esposta. Avvicinamento praticamente zero. Ho scaricato da internet le relazioni dei vari settori con i gradi delle vie. Speriamo bene.

Giornata di prime volte oggi: per Gabriele è il battesimo della roccia, perché lui in falesia non c’è mai stato ma ha scalato solo in palestra fin’ora; e per me è la prima volta senza una persona più esperta di me accanto. Sento un po’ la responsabilità, unita ad una elettrizzante eccitazione che, come sempre in questi casi, mi fa formicolare le mani e mi stringe la bocca dello stomaco.

Il viaggio in autostrada è tranquillo e in un’ora circa siamo alla falesia.
Beh, che dire, il posto merita, merita davvero: è un’enorme placconata di solido gneiss, rotonda, ondulata, quasi accogliente nella morbida luce del mattino. Il parcheggio si trova dietro un pergolato sul quale si avviluppano alcune piante di vite, ancora spoglie e dormienti, vista la stagione. Lo steccato è interrotto in concomitanza di un sentiero di autobloccanti, che cozza un po’ con l’insieme bucolico dell’ambiente.
Un bar allestito in un prefabbricato in legno fa da punto di appoggio, mentre il prato, i tavoli da pic-nic e il campo da volley ci osservano con noncuranza. Saranno abituati all’invasione domenicale dei climbers.
Non riesco a fare a meno di pensare che in estate il posto deve essere splendido. Poi però penso che le pareti sono esposte a sud-ovest, e che già a giugno si rischia seriamente di condividere la sorte della carne cotta su pietra ollare.

Io e il socio ci carichiamo in spalla gli zaini con l’attrezzatura e ci avviamo al primo settore, Carnevale d’Ivrea. È il settore più facile e più vario. E infatti è già mezzo occupato da un corso del Cai: gli istruttori stanno montando le corde su un po’ di vie, comprese un paio che avevo adocchiato sulle relazioni … cavolo! Volevo iniziare su qualcosa di facile, fare un giro su un paio di quarti! Non posso iniziare già su vie di 5a o 5b, Gabriele non ha mai messo mano su roccia, e anche se so che non è il tipo da tirarsi indietro e sono sicura che salirà senza problemi, non posso essere certa della reazione che avrà. Ma forse le mie sono solo scuse per non dover ammettere si essere io il coniglio: non scalo su roccia da due mesi e su gneiss et similia da inizio ottobre, dal Paretone di Arnad, e il primo giro da 1 tocca a me. Non me la sento di rischiare.
Guardo la mia guida home made e adocchio un 4b e un 4c ancora liberi. Iniziamo da qui.
Corda, scarpette, imbrago, rinvii, grigri, ghiere … si parte!
Lascio il grigri a Gabriele, mi lego e mi preparo a salire “I Diavoli – 4c”.
Sono concentrata ma stranamente tranquilla. Non ho mai scalato qui, non conosco la roccia, non conosco la via eppure sono tranquillissima, cosa che non mi succede mai scalando da prima, nemmeno su un tiro che conosco a memoria. Sarà che mi fido del mio socio che mi assicura, mi fido ciecamente di lui. Non ho nessun bisogno di guardarlo per sapere che mi sta assicurando alla perfezione, lo so e basta. Forse mi fido più di Gabriele che di me stessa in questo momento, per questo salgo così bene.
Il tiro è molto carino, una bella placca facile facile. Qualche metro per far prendere ai piedi confidenza con l’arrampicata di aderenza e tutto va via liscio come l’olio: in pochi minuti sono in catena. C’è un moschettone. Ottimo!
Chiedo a Gabriele se la fa da primo o da secondo. Mi risponde che salirà da primo. Non avevo dubbi. Ti lascio i rinvii? No, no, me li metto. Ecco, appunto … conosco i miei polli.
Mi cala e ci scambiamo.
Sale bene Gabriele, qualche insicurezza all’inizio e a metà, ma è più che altro questione di fiducia. Lui è più per le vie fisiche, ma qui non c’è nulla da tirare, bisogna fidarsi dei piedi. Arriva in catena; sembra soddisfatto. La sua prima via su roccia! Evviva!! Sorride mentre lo calo … chissà cosa gli passa per la testa …

Scelgo la via accanto “Credendari – 4b”. Anche questa è facile, c’è solo un passetto a metà un po’ lungo dove devo chiedere alla mia testa un po’ più di fiducia. Tutto a posto comunque. Mi piace e mi sto divertendo.
Anche Gabriele sale bene da primo, anzi, sale meglio di prima. Si vede che sta acquistando fiducia nelle scarpette. Gli grido di usare i piedi e lui ride. È la frase che ripete sempre a me Roby in palestra “Usa i piedi!!”. Sappiamo che è il consiglio migliore che ci possono dare, ma ormai è diventato quasi una barzelletta, perché fidarsi delle scarpette e non delle dita è la cosa più difficile da fare, è lo switch mentale che divide un arrampicatore mediocre da uno bravo.

Quando tocca terra Gabriele è evidentemente esaltatissimo … alziamo un po’ il tiro? Gli chiedo. Accanto alle vie che abbiamo fatto c’è un 6a, “Il tiro delle arance”. Lo guardo. Ha un attacco boulderoso, duro perché non ci sono buoni appoggi e gli appigli da usare sono due, di numero, e pure alti. Passato il secondo rinvio poi è facile, ma l’inizio è una bastonata. Gliene parlo. Gabriele vuole provarlo, da primo. Non salirà, lo so, è troppo tecnico per lui. Ma va bene lo stesso, lo faccio provare.
Prova a partire due o tre volte, ma non sa dove e come mettere i piedi. Io li vedo gli appoggi, ma sono ridicoli. Prova e riprova. Non sale. Va beh, forse abbiamo osato un po’ troppo.

Cambiamo settore, e ci trasferiamo al Retro Bar. Mi sento carica oggi e vorrei davvero alzare il livello delle vie, adocchio un 5b, mi piacerebbe provarlo. Ma prima decidiamo di meritarci una breve pausa per un cappuccino veloce.
Quando torniamo dal bar la via è stata occupata. Cazzo!

Dobbiamo ripiegare. Scaliamo ancora un quarto divertente, poi ci fermiamo e osserviamo Titano, un 5c. Non mi convince molto: è breve, un po’ boulderoso, forse un po’ troppo.
Ma Gabry si è esaltato e vuole provarlo, e chi sono io per reprimere i desideri di gloria di un neofita della roccia?
Già in partenza, però, ha qualche piccolo problema: non riesce a far tenere le scarpette. Noto che ha indossato le scarpette più comode, quelle meno performanti … pessima, pessima idea! Comunque riesce a salire. Rinvia due spit e raggiunge il punto duro, un pezzetto di un metro, forse un metro e mezzo, strapiombante. Da sotto non sembra impossibile, anzi, sembra ben appigliato. Ecco, appunto, sembra … Gabry mi comunica tutto il suo sconforto: gli appigli buoni sullo strapiombo sono tutti rovesci, gli altri sono svasi e sopra lo strapiombo, in uscita dal pezzo duro, non ci sono appigli, ma solo piccole rugosità da tenere in punta di dita, nulla di utile, comunque.  Gabry è abbastanza alto da rinviare lo spit a metà strapiombo, almeno per mettersi in sicurezza, ma poi non sale, non riesce a tenere nulla.
Dopo qualche altro tentativo scamotta a destra e arriva in catena passando fuori via, poi si fa calare, sconsolatamente.
Ci provo io da seconda.
Memore delle difficoltà del mio socio a salire i primi due metri, opto per le scarpette nuove e strette, le Scarpa da “competizione”. In effetti non ho tutta questa difficoltà a salire. Poi però arrivo anch’io al pezzo duro.
Eh, già! Gabriele aveva ragione: tutti quelli che da sotto sembravano appigli sono in realtà rovesci o svasi. Sopra lo strapiombo non riesco a raggiungere nulla di tenibile e io sono, oltretutto, più piccina, quindi devo fare almeno un passo in più per uscire dallo strapiombo. Ma cazzo! Odio, odio, odio le vie boulderose!
Mi arrendo … e  mi faccio calare …

Nel frattempo ci hanno raggiunti Massimo e Stefania, gli zii di Gabry, e ne approfittiamo per fare pausa pranzo in compagnia loro e dei tre cani. Meritano assolutamente una citazione i panini e le piadine del bar, davvero ottimi!
Dopo aver calmato i morsi della fame, optiamo per una via semplice, “Aldebaran”, che il mio socio scala da 1, mentre io decido di salire da 2 perché un passo in diedro mi convince poco. Stefania ne approfitta per documentare fotograficamente la nostra salita con un’abbondanza di belle immagini. Riesce a catturare gli attimi migliori, come Gabriele mentre rinvia o un mio passo nel diedro che nemmeno mi ero resa conto di aver fatto così bene! Invidia, le mie foto di falesia sono sempre ridicole!

Saliamo poi un altro quarto, che mi sento di fare anch’io da prima, poi Gabriele decide che vuole di nuovo alzare un po’ il tiro e così ritorniamo al settore Carnevale, dove c’è una via corta, Lo Scarlo, un 6a+ molto fisico.
Penso, erroneamente, che il mio socio potrebbe riuscire a salire, visto che la via mi sembra sì dura, perché leggermente strapiombante, ma ben appigliata. Mi sbagliavo. Gli appigli sono troppo svasi e non riesce a tenerli. Niente, abbandoniamo anche questo progetto. Si farà quando saremo più esperti.
Sulle relazioni che ho scaricato da internet leggo che la via accanto, “Fagioli Grassi”, è gradata 5c, anch’essa breve e boulderosa; gli propongo di salire quella, tanto io sono abbastanza stanca e difficilmente riuscirò a provare ancora qualcosa, mi adatto a fargli da contrappeso.
In realtà nemmeno su quella riesce a salire, anzi sembra addirittura fare più fatica che su Lo Scarlo. Giuro che non capisco! Eppure un 5c non dovrebbe essere così tanto duro! Si demoralizza Gabriele, ma non so come aiutarlo, non posso neppure tirarlo più di tanto perché è da primo e una volta che supera il rinvio c’è poco che posso fare. Mi chiede di calarlo, perché tanto non riesce a risolvere il passaggio, ma poi i rinvii chi li recupera?
Vediamo, vicino a noi, una coppia di ragazzi: lui sta provando il 6b accanto a Lo Scarlo. Decidiamo di chiedere a loro se, una volta in cima, facendo passare la corda nelle catene, vuole calarsi su Fagioli Grassi e recuperarci i rinvii.
Il ragazzo accetta, anzi decide addirittura di provare la via, avvertendoci però che non è sicuro di riuscire a salire. La sua affermazione mi lascia perplessa: ma come? Stava per salire un 6b e non si sente sicuro su un 5c? Quando glielo faccio, educatamente, notare, la ragazza ridendo mi informa che quella via era sì un 5c in camino, ma prima che metà parete crollasse al suolo. Adesso, che non hanno cambiato la chiodatura, è data 6c.
Ooops … Gabriele mi lancia uno sguardo assassino … non posso fare altro che chiedergli scusa, ma sulle relazioni scaricate c’è scritto 5c, ne sono sicura! Anzi, ricontrollo … c’è scritto davvero 5c!
Gentilmente la ragazza ci informa anche che al bar è in vendita la nuova guida aggiornata.
Credo proprio che sarà un investimento necessario …
Ma allora, mi chiedo, quante vie abbiamo fatto oggi, ignorandone la reale difficoltà? Mah …
Alla fine il ragazzo in qualche modo arriva in catena e riesce a recuperarci i rinvii … tutto è bene quel che finisce bene, ed io e il mio socio decidiamo di finire così anche la giornata. Sono le tre passate è decisamente ora di rientrare.

Ritiriamo l’attrezzatura e ci dirigiamo verso l’auto.

Nonostante tutto, e nonostante l’inconveniente dei gradi sbagliati, Montestrutto ci è piaciuta molto e siamo convinti di tornarci, anzi Gabriele propone di fare campo base lì almeno fino a maggio, almeno fino a che farà troppo caldo. E l’idea non mi dispiace per niente.

Arrivederci Montestrutto, a presto!!
Leggi tutto...