Domenica 23 febbraio.
Dopo il corso di
snowboard e un intenso weekend a Bardonecchia, mi sento pronta per provare a
lasciare la confort zone e affrontare una gita dello sci club. La meta prevista
è Gressoney, luogo del mio primo incontro/scontro con la tavola.
I soci del corso sono
più propensi ad aggregarsi il sabato al corso avanzato di sci e tornare a
Champorcher, con l’idea, magari, di fare ancora qualche ora di lezione con
Sandro.
Io no. Dopo aver goduto
delle piste del comprensorio di Bardonecchia, l’idea di rimettere la tavola
sulle quattro discese di Champorcher non mi aggrada. Ho voglia di esplorare
posti nuovi, altri pendii, differenti montagne. L’idea di essere completamente
sola e senza altri tavolari, però, non mi aggrada più di tanto e, sapendo che
Gabriele è tutti i weekend sulle piste del comprensorio con i suoi zii, gli
dico che andrò lì, e ci accordiamo per trovarci a Stafal, con l’idea, mia, di
poter fare un paio di discese insieme, idea che si rivelerà, purtroppo, del
tutto errata.
tramite il gruppo su
Whatsapp, vengo a sapere che impedimenti e defezioni dell’ultimo minuto fanno
saltare la gita di sabato ai soci del corso, e sempre tramite lo stesso gruppo
(santi messaggi gratuiti!) io rendo noto alla truppa che ho un posto per la
gita. Maria Grazia, l’altra donna del gruppo “wannabe tavolari”, decide di
aggiungersi all’ultimo momento per una surfata tra donne, visto anche il meteo
particolarmente favorevole.
Evviva!!
Ed eccoci domenica
mattina ore 7,00 in partenza, assonnate ma con tanta voglia di neve. Le
previsioni, incredibilmente, non si sono sbagliate: il cielo è terso, non fa
troppo freddo, si prospetta una giornata incantevole.
Peccato che a farmi
iniziare male la giornata ci pensi il mio stomaco, che poco sopporta gli oltre
40 km di curve dall’uscita di Donnas a Stafal: sto male! Anzi, sto malissimo!
Mi vedo, mio malgrado, costretta a far fermare il bus a pochi chilometri da
Gressoney per scendere a prendere due respiri di aria fresca, onde evitare di
rimettere tutta la colazione.
Seduta accanto
all’autista riesco, per fortuna, a non far fermare ancora il convoglio, che
arriva al parcheggio abbastanza in orario, nonostante un po’ di coda dovuta
alla tanta gente e al fondo stradale non proprio pulitissimo. Quando arriviamo
a Stafal chiamo Gabriele, che mi dice di essere in una coda infernale ad Alagna,
in attesa di salire sull’ovovia: l’idea originale era che loro sarebbero saliti
da Alagna fino al Passo dei Salati e da lì scesi lungo il versante di
Gressoney, raggiungendoci. Avrebbero magari potuto prevederlo che ci sarebbe
stata tanta gente, vista la giornata spettacolare dopo un mese di brutto tempo,
considerato che qui sono locals, ma va beh … decidiamo di trovarci a metà
strada, raggiungendo io e Maria Grazia il Passo dei Salati, che con i suoi 2971
m, gode di una vista spettacolare, che in una giornata così tersa e luminosa è
davvero pazzesca.
Il mio stomaco però non
si è dimenticato del tragitto in pullman, ed è ancora un po’ in subbuglio;
sento il bisogno di mettere qualcosa sotto i denti. Approfittando del fatto che
i due ancora non sono arrivati, ci rechiamo al rifugio in cima al Passo e ci
godiamo due bei panini cotto e fontina comodamente sedute al sole della
terrazza. Sono appena le 10.30, ma va bene lo stesso! Tra un boccone e una foto
al panorama penso che sono queste le cose che mi rimettono al mondo: neve, sole
e due amiche in cima (… o quasi) ad una montagna.
Finalmente i due ci
raggiungono e possiamo agganciare le tavole ai piedi. La prima pista che
affrontiamo è la rossa “Salati”, niente meno che la rossa sulla quale Gabriele
mi ha buttata la prima volta che ho messo la tavola. Rifacendola ora mi chiedo
come ho fatto ad arrivare fino a giù un anno fa …
Arrivati a Gabiet, i
due baldi giovani ci informano che per tornare a Stafal c’è un unico modo: fare
un pezzettino di una rossa, e poi ad un bivio prendere a destra, altrimenti a
Stafal non riusciamo più a tornare.
Quando arriviamo al
bivio, però, un cartello urla a chiare lettere “PISTA PER SCIATORI ESPERTI”. Ci
rendiamo improvvisamente conto che l’unica strada possibile è una pista nera,
la pista “Moos”. Io e Maria Grazia ci guardiamo vagamente allarmate: l’unica
cosa che ci eravamo ripromesse di fare era evitare le nere, perché non siamo
ancora pronte per affrontare da sole simili difficoltà. Ma ormai lì siamo e da
lì dobbiamo passare, quindi forza e coraggio! L’inizio è molto ripido e
tortuoso, ma, facendo molta, ma molta attenzione, sui talloni scendiamo, piano
piano. Superato faticosamente il tratto ripido, raggiungiamo una stradina
stretta che costeggia l’alveo di un fiume, e quindi a bordo pista c’è un bel
precipizio, non in tutti i punti protetto da reti. Quel precipizio non protetto
mi mette ansia, parecchia, perché so di non riuscire a controllare molto bene la
tavola dritta, avanzo lentamente e con molta calma, meditando bene quello che
faccio, tanto che Maria Grazia mi distacca di un po’ di metri. Cerco di
starmene il più possibile lontano dal bordo, venendo spesso ugualmente
rimproverata dagli sciatori che mi superano lanciati. Non posso dare loro
torto: io lì non dovrei esserci. A un tratto mi supera una ragazza con la
tavola, evidentemente di poco più brava di me, seguita da uno sciatore che la
aiuta a superare il tratto pianeggiante trainandola con la racchetta. Poco dopo
avermi superato, però, la ragazza perde il controllo della tavola e rischia
seriamente di finire nel burrone, se non fosse stato per lo sciatore che la
afferra al volo per la vita e la trascina indietro. Finiscono entrambi gambe
all’aria con un urlo spaventato della ragazza. Io che non sono esattamente un
cuor di leone, anzi decisamente più un cuor di coniglio, mi prendo piuttosto
male e rallento ulteriormente, pensando che no, quella pista non avrei dovuto
nemmeno pensare di approcciarla. Finalmente torna a farsi un po’ più agevole in
quanto a larghezza, ma molto ripida prima dell’arrivo a Stafal, e di nuovo per
me e la socia, molto impegnativa. Mi rendo conto solo in quel momento che, dopo
il muro iniziale, ho perso di vista completamente Gabriele e Massimo, che
immaginavo di trovare alla fine della pista, ma dall’alto dell’ultimo muro non
li riesco ad individuare. In realtà, passato il pezzo ripido, hanno
probabilmente pensato che per noi le difficoltà fossero finite, e così ci hanno
abbandonato lì sulla nera, senza neppure degnarsi di aspettarci alla fine della
pista per verificare che fossimo riuscite ad arrivare tutte intere. Che
gentiluomini! E, anzi a dirla tutta non li rivedremo più per tutta la giornata,
ritrovandoli solo quando per noi è ora di tornare al pullman. Va beh …
Ma io e Maria Grazia
non ci perdiamo certo d’animo, che, alla fine, senza uomini si sta anche
meglio. Saliamo con la funivia fino a Sant’Anna e poi in seggiovia fino al
Colle Bettaforca. E da lì iniziamo a macinare piste su e giù per i due versanti,
quello verso Gressoney e quello verso Champoluc, fino a quando esauriamo le
forze. Quello verso Gressoney ci piace molto di più, tanto che faremo più di
una ripetuta del pistone Betta, una bella rossa molto larga e varia, con alcuni
tratti più impegnativi ed altri decisamente più rilassanti.
Ci costringiamo a
curvare, curvare, curvare ancora, per prendere sempre più confidenza con la
tavola e la velocità, a volte riuscendo a fare bene per dei bei tratti di pista
lunghi, a volte cadendo ripetutamente, per quanto mi riguarda, in pieno Gatto
Silvestro Style …
Ci fermiamo verso l’una
il tempo di mangiare un pezzetto di dolce, in un bar piuttosto affollato:
abbiamo bisogno di recuperare forze e sensibilità nei piedi, per poi lanciarci
giù ancora, a macinare neve e chilometri. A fine giornata ne avremo fatti oltre
30, tutti su piste rosse (più la nera). Non male per due semi principianti! E
infatti a fine giornata non me la sento di fare il rientro verso il parcheggio,
una rossa con una stradina stretta, che mi ricorda troppo la “Moos”. Mi impunto
per scendere con la funivia: sono stanca e non riesco più a controllare la
tavola, mi sono divertita e non mi va di patire proprio l’ultima discesa.
Salite sul pullman ci
accasciamo sfinite e doloranti sui sedili, tanto che uno degli organizzatori
scherza sulle nostre facce poco meno che sconvolte. E infatti nel giro di pochi
minuti ci addormentiamo, nonostante il notevole chiacchiericcio degli sciatori
evidentemente ancora pieni di energie. Ma come faranno?