lunedì 24 giugno 2013

Illeciti



Ci sono situazioni in cui i giorni sembrano essersi fermati, situazioni che sembrano porsi al di fuori dello spazio e del tempo, come una bolla adimensionale non intaccata dal trascorrere degli anni, dove tutto è rimasto uguale a se stesso.
Parlo di quei luoghi, quelle serate, quel gruppo di amici che, anche dopo un decennio, sembrano rimanere come le prime volte, quando di anni ne avevi appena venti e ancora ti domandavi “cosa farò da grande?”, quando i ragazzi sulla trentina parevano già troppo vecchi, e la principale preoccupazione era mettere insieme una serata decente il venerdì.
E adesso che di anni ne sono trascorsi già dieci, e siamo noi ad avere quasi trent’anni, appare così strano ritrovarsi lì, accanto alle stesse persone, sotto lo stesso palco, a cantare a squarciagola le stesse canzoni, che non hanno perso nemmeno per un attimo la loro carica emotiva.
L’occasione si ripete ogni anno all’inizio di giugno, quando la Pro Loco di Oleggio Castello organizza l’ormai storica Festa della Birra. È la prima della stagione, quella che quando vedi affissi sui muri di Arona i cartelloni pubblicitari senti che l’estate è ormai alle porte, la festa alla quale non si può rinunciare. E poi, immancabilmente, anche quest’anno suonano gli Illeciti.
Credo che nessun aronese, tra i 20 e i 50 anni, possa dire di non aver mai sentito suonare gli Illeciti Musicali; personalmente sono una assidua frequentatrice dei loro live da quando di anni ne avevo 18, da quel primo concerto nell’inverno del 2002. Da allora non passa estate in cui non li senta suonare almeno un paio di volte, e la Festa di Oleggio è un appuntamento fisso.
Anche quest’anno ci ritroviamo lì, con il gruppo purtroppo un po’ decimato: a cena mi trovo con Francesca e Davide, ma loro, durante il concerto, rimarranno al tendone con altri amici; sotto il palco mi raggiungerà, invece, Martina, compagna storica di tante serate Illecite. Manca Daniela, in trasferta statunitense. Peccato! Lei è un’altra colonna portante della storica combriccola, che non è quella del Blasco, però …
Come sempre gli Illeciti snocciolano una dopo l’altra cover cariche di nostalgia, alternandole a qualche loro inedito, canzoni sconosciute al grande pubblico ma diventate per noi fedelissimi brani di culto, e a qualche pezzo recente, che crea la giusta variazione ad una scaletta ormai parte dell’immaginario collettivo; e noi, sotto al palco, ci ritroviamo a cantare, insieme a Vasco, quanto odiamo il lunedì e che sarebbe bello se fosse sempre domenica. E anche se le canzoni hanno già qualche anno, anche se i pezzi suonati sono sempre quelli, niente riesce a scalfirne la magia, creata da tutte quelle luci e tutte quelle voci. Queste canzoni, che magari normalmente non ascolteremmo più perché “uffa! Che noia, l’ho sentita milioni di volte!”, suonate live dagli Illeciti sembrano sempre nuove, diverse ogni volta, con un sapore coinvolgente che non riesco a spiegare.
E tra un lento e un pezzo rock un’ora fugge via, ma nessuno dei presenti pare stanco, anzi ci accalchiamo un po’ di più, le gambe che saltellano al ritmo dei Punkreas e dei Liquido, mentre le mani tengono il tempo scandito dagli inediti che raccontano dei nostri luoghi, adagiati lungo l’A26, dei sabati sera trascorsi in riva al Lago, o rimpiangono una lei che all’improvviso non c’è più.
La seconda ora stupisce un po’ con un doveroso tributo al fu Enzo Jannacci, e poi si ricomincia tutti a ballare, twisteggiando con Giorgio Gaber che invoca a gran voce una dissetante birra, con i balli di gruppo alla Michel Telò, finendo con l’affermare tutti quanti a gran voce that tonight’s gonna be a good good night!!
Alla fine anche la seconda ora, purtroppo, scivola veloce e, consapevoli che tutto sta per finire, ci stringiamo sotto il palco, ad urlare contro il cielo che non si può sempre perdere, in un finale storico, mai cambiato nel corso degli anni, tributo nel tributo a Ligabue. E come il Liga anche gli Illeciti ci salutano così, e noi veniamo riportati alla realtà, ai nostri quasi trent’anni, alla nostra vita, così diversa oggi eppure sempre così uguale a se stessa, con l’improvvisa consapevolezza del tempo che è passato, di tutto quello che abbiamo, negli anni, condiviso.
E ci salutiamo, convinti che nel 2014 saremo di nuovo lì, con forse un anno in più, ma con la stessa voglia di cantare, ballare e divertirci. E chissà se davvero tra un anno manterremo questo accordo non detto o se mi accorgerò che le mie sono state solo fantasie, fantasie che volano libere …
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martedì 11 giugno 2013

Maggio Falesistico



Maggio d’arrampicata caratterizzato più dalla guerra al meteo che dalla lotta alla roccia: quest’anno la primavera è partita decisamente a singhiozzo, con un’alternanza di giornate di sole (solitamente in settimana!) e periodi di pioggia (solitamente nei weekend!) più o meno duraturi. Sostanzialmente è da metà febbraio che il meteo fa le bizze.

Comincia male già il 1 maggio; dopo il perturbato weekend del 25 aprile, la situazione per quel mercoledì non sembra essere migliore. Io e il mio socio, però, abbiamo da tempo deciso di trascorrere la giornata a Bielmonte e così, nonostante il meteo non incoraggiante, la mattina carichiamo l’attrezzatura nella Clio di Gabry e partiamo.
Raggiunta la palestra di roccia dell’Argimonia attorno alle 10.30, scopriamo, nostro malgrado, che la roccia è fradicia e rivoli d’acqua scendono più o meno ovunque.
Di scalare da 1, quindi, non se ne parla neppure: troppo rischioso con tutto quell’umido! Così il socio si avventura sopra la placconata e riesce ad agganciare la mia corda su una catena in cima a un quinto, per poterlo scalare in moulinette.
Inizio io. Non so se è il confronto con le falesie di Arco o cos’altro, ma eccezion fatta per la partenza, dove occorre spalmare i piedi sfruttando un’aderenza che causa acqua non c’è, per il resto quel quinto mi sembra una scaletta e in un attimo sono in catena. Mah …
Proviamo poi a salire una variante della stessa via, passando a sinistra della placca, dove si deve arrampicare in diedro fino ad uscire da un piccolo strapiombo. Da lì si potrebbe pensare di proseguire con la placca, ma è troppo umida, così traversiamo e continuiamo sulla via di prima fino alla catena. La variante è molto carina, forse più della via originale.
Decidiamo di smettere perché non possiamo fare altro, dal momento che non è comodo mettere la corda dall’alto su altre vie. Appena in tempo, perché poco dopo essere tornati alla macchina inizia a piovere.

Ci riproviamo domenica 5 maggio. Oggi non ho voglia di pensare a dove andare, né di cercare una relazione in internet. Questa domenica voglio che qualcun altro decida per me, così ci aggreghiamo al corso di alpinismo organizzato dal CAI Novara.
Ritrovo ore 7.30 al punto blu di Galliate, destinazione Pietra Croana, Serravalle Sesia.
Non conosco il posto, non ci sono mai stata e non ho trovato nessuna relazione in rete; so però che si tratta di una palestra di roccia per vie di più tiri. In palestra ho chiesto a un paio di istruttori se era fattibile, per noi falesisti, salire soltanto il primo tiro delle vie. Risposta affermativa, e quindi eccoci qui, io, Gabriele e la banda del corso di alpinismo, parcheggiata la macchina sul ciglio di una stretta stradina di campagna, ad affrontare l’attacco di un sentiero di avvicinamento che ci costerà 40 minuti di cammino in salita. Io non amo gli avvicinamenti lunghi e faticosi. Però c’è il sole, la giornata è bella, la compagnia piacevole e la prospettiva di mettere le mani sulla roccia rende quasi meno faticoso il cammino zaino in spalla.
Quando arriviamo al bivacco sotto l’attacco delle vie, Gabry viene raggiunto telefonicamente da Massimo e Stefania, che gli comunicano il loro imminente arrivo; il socio decide di scendere per andare loro incontro.
Tra una cosa e l’altra perdiamo circa un’ora. Quando siamo finalmente operativi tutti e quattro e ci accostiamo alle vie, realizziamo che queste sono decisamente facili, forse un po’ troppo. Ci accingiamo a salire un quarto ma scopriamo, non senza sgomento, che la parete scarica sassi e noi non abbiamo il caschetto. Inutile dire che non mi piace l’idea di scalare avendo delle cordate sopra di noi che possono far staccare qualsiasi cosa. Inoltre Gabriele lamenta il fatto di avere spit arrugginiti, chiodatura lunga e catena insolita. Forse, la sua, è solo un po’ di coniglite, ma non mi pare sano rimanere a scalare in un posto che, oltre a mostrare pericoli oggettivi, non piace a nessuno. Decidiamo di trasferirci a Bielmonte, che da lì non è troppo lontana.
Raggiunte le auto troviamo quella di Massimo e Stefy sprofondata per tutta la ruota posteriore nel dirupo che costeggia la strada.
Dopo vari e inutili tentativi di risolvere la situazione io e Stefania elemosiniamo aiuto da un signore che accorre con un vecchio ma gigantesco trattore Lamborghini dotato di braccio meccanico, che non fa alcuna fatica a trainare l’auto fuori dall’inghippo e a rimetterla in strada.
L’inconveniente ci ha fatto perdere più di due ore ed è ormai troppo tardi per raggiungere un’altra falesia. Terminiamo questa giornata sfortunata in un ristorante stile American Diner lì vicino, dove consumiamo un gustoso pranzo a base di insalatona, hamburger vegani e patatine fritte.

Domenica 12 maggio, finalmente sole, caldo e un bel gruppo di amici con cui scalare! Cosa chiedere di più se non una bella falesia divertente? Ed eccomi a Sangiano (VA) con il gruppetto arcense più Gabry. A noi si sono aggiunti altri tre ragazzi, amici del duo Luca&Fabio.
L’ambiente è estremamente piacevole: una bella falesia di calcare, molto varia nell’arrampicata, con placche delicate, alcune vie strapiombanti, mai monotone e abbastanza ingaggiose, gradi per tutti i gusti e chiodatura decente (anche se la sottoscritta si è lasciata vincere da un attacco di coniglite feroce …). I gradi non sono larghi, ma nemmeno regalati. Anche l’avvicinamento è decisamente onesto: 5 minuti di cammino su un sentiero in piano che sale un po’ ripido solo per gli ultimi … 10 metri! Pur essendo esposta a sud, la falesia è immersa in un bosco e quindi la base rimane molto fresca tutto il giorno. Appena si sale di qualche metro sulle vie, però, il caldo si fa decisamente sentire.
Alla mattina troviamo il posto vuoto ma durante la giornata si riempie di locals, tra i quali alcuni che preferirei non incontrare mai più. Tra questi un paio di ragazzi che hanno deciso di iniziare le rispettive fidanzate all’arrampicata, ma una di queste non è molto d’accordo, con conseguente litigata furiosa davanti alla platea. Sono gli stessi ragazzi che, mentre salgo in moulinette su un 6a, decidono di partire da 1 sulla stessa via mentre io ancora devo farmi calare, e così sono costretta a legarmi sulla sosta della via accanto. Io accetto la cosa seraficamente, Gabriele, che mi assicura, vorrebbe spezzare le gambe a tutti loro.
Dulcis in fundo, a fine giornata, una coppia di climber piuttosto avanti con l’età, presumibilmente marito e moglie, trovano di che questionare sul mio modo di assicurare Gabry, o meglio sul mio modo veloce di dargli corda su una rinviata alla “spera in Dio”. Io e il socio, però, concordiamo sul fatto che l’ho assicurato nel miglior modo possibile in quel frangente. Vecchi rompiballe!! L

Domenica 19 maggio.
Il meteo non lascia margini di manovra: coperto e piovoso in tutto il nord Italia ed io mi sono già rassegnata a trascorrere il pomeriggio alla Decathlon alla ricerca delle famigerate magliette sulle quali far stampare il logo degli IncaTenati. Venerdì pomeriggio passo a trovare Gabriele, per sapere se è guarito dall’influenza, il quale mi comunica che nel gruppo gira la voce di una toccata e fuga a Finale, perché lì c’è il sole. Subito scarto l’ipotesi: non mi va di fare tutti quei chilometri in un solo giorno; però l’idea mi rimane in testa e continua a ronzare e ronzare per tutta la sera e il giorno successivo. Il mio cervello inizia a fare i calcoli: se siamo in 5, il costo si ammortizza, e poi, l’alternativa sarebbe la Decathlon, non troppo invitante a confronto. L’idea di scalare a Finale è appetitosa, però ho qualche remora riguardo ai 500 chilometri da affrontare in un solo giorno … continuo a rimanere in un limbo dubbioso fino a sabato pomeriggio, quando mi sento con Teo. Anche lui è nella mia stessa situazione, nella mia medesima incertezza, perché la voglia di scalare in realtà c’è, eccome! E poi, diciamolo, Finale è sempre Finale!! Al termine di una breve consultazione decidiamo che la voglia di andare è troppa, e i pro sono decisamente più dei contro: si va!! Chiamo Gabry, che, conoscendo la mia idiosincrasia nei confronti delle telefonate, si stupisce non poco, e gli comunico la decisione presa. Alla fine conviene con me che la notizia meritava la telefonata.
Quindi, eccoci alle 7 di domenica mattina in un piazzale della periferia di Novara a stiparci in 5 più attrezzatura in una Seat Ibiza e partire in direzione Orco, destinazione Antro delle Streghe – Rian Cornei.
Il viaggio è veloce e piacevole; noi seduti sul sedile posteriore sonnecchiamo più o meno fino a Varazze, fino alla sosta in autogrill. Poi ci pensa Teo a risvegliare gli animi con una canzoncina tanto stupida quanto esilarante che diventerà il tormentone della giornata (… e di quelle a venire) … ottimo direi!
Parcheggiamo ad Orco e scendendo dall’auto ci rendiamo conto che fa tutt’altro che caldo: la temperatura è a mala pena accettabile e soffia un vento teso, gelido e tagliente. Evviva … L Meno male che siamo tutti attrezzati con indumenti pesanti e giacche antivento. Il più folkloristico è Teo, con una felpa gialla La Sportiva che lo fa sembrare una versione più longilinea del Pulcino Pio.
L’avvicinamento alla falesia è a dir poco avventuroso: il sentiero, dopo un primo tratto agevole, si inoltra nel bosco, inizialmente in piano, poi in discesa via via sempre più ripido e impervio, con alcuni tratti da superare con pezzi di corde fisse e cavi d’acciaio; le difficoltà sono aggravate dalle piogge della notte precedente che hanno reso il fondo fangoso e viscido, quando non hanno creato vere e proprie pozze. Dopo parecchi minuti di camminata io sono infangata dalla testa ai piedi, ma finalmente raggiungiamo le vie: il posto è molto bello, anche se lo spazio per fare sicura in alcuni punti è un po’ ristretto, le vie sono tante e varie sia per tipologia che per difficoltà. I miei soci si divertono molto su alcuni 5c/6a piuttosto fisici, mentre io trovo la mia dimensione su un 6a di placca liscissima dove appigli e appoggi sono poco meno che ridicoli.
La giornata scorre veloce e piacevole, complici anche un gruppo di locals molto simpatici arrivati verso il mezzogiorno. Peccato solo per il freddo, che così tanto in Liguria credo di non averne mai sentito.
Alle 19.00 lasciamo la falesia per recarci a Finalborgo e dopo una ben meritata cena a base di linguine al pesto, brindando con Pigato alle soddisfazioni della giornata, tutti in auto verso casa. Io non resisto oltre al casello autostradale, e mi addormento sfinita sulla spalla di Teo, che a sua volta si addormenta appoggiato alla mia testa, Fabio sonnecchia accanto a me, Luca guida e Gabriele ha promesso che tenterà di rimanere sveglio. Se ci sia riuscito non mi è dato sapere, perché mi sono risvegliata ormai a Novara, al termine di una giornata sfiancante ma assolutamente meritevole e divertente, alla quale sono molto contenta di non avere rinunciato.
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