martedì 23 luglio 2013

Dall'orto col furgone...



Domenica trascorsa diversamente dal solito questo 21 luglio, lontana dalla roccia e dedicata, invece, all’approfondimento di tematiche relative a vegetarianesimo/veganesimo. Venerdì sera, durante una delle ormai consuete sfalsiate serali a Montestrutto, il mio socio ha bucato la suola delle scarpette. Anche se prontamente portate al risuonatore, senza scarpette Gabriele non può scalare e quindi ci serve un’alternativa. Tramite l’OIPA siamo a conoscenza del “Vegan Festival”, che si svolgerà a Meina, ed essendo il mio socio vegano, e di conseguenza particolarmente interessato all’argomento, decidiamo di andare a curiosare.
Prendendoci del tempo per una seconda colazione in quello che è ormai diventato il nostro bar preferito (sì, sì, è vero, ci stiamo viziando … ma lì fanno delle brioches spettacolari, e Gabry va letteralmente pazzo per quella integrale al miele …), arriviamo a metà di una conferenza sull’alimentazione vegana, tenuta dall’autrice de “La dieta di Eva”. Successivamente una conferenza tenuta da OIPA indicava le problematiche del randagismo in Italia e in Europa. Nel pomeriggio poi non ci siamo fatti mancare due passi e un gelato in una Arona incredibilmente vuota, forse per le temperature elevate.
La giornata è stata sicuramente piacevole, complice il tempo splendido e una location particolarmente azzeccata quale il lido di Meina (ora Lega Navale), e sicuramente ricca di spunti di riflessione. E da qui vorrei partire nello scrivere qualche riflessione che da un po’ mi ronza nella testa.
È già da un po’ di tempo, infatti, che mi trovo a rimuginare sulla questione alimentazione, sostenibilità e sprechi, prima ancora di conoscere Gabry e impattare con il veganesimo. Se da un lato ho sempre avuto un rapporto ambiguo con il cibo, purtroppo mai particolarmente felice, e minato spesso dalla ricerca di un equilibrio a stento raggiunto alla soglia dei trent’anni, dall’altro ho sempre ascoltato con estremo sospetto le sirene della pubblicità e della grande distribuzione e ho posto spesso attenzione alla qualità di quello che mi trovo nel piatto. Sarà che sono cresciuta in una famiglia dove il senso del risparmio è sempre stato molto forte, e dove abbiamo sempre avuto a disposizione qualche fazzoletto di terra dove far crescere sana verdura più che biologica; sarà che sono andata a vivere sola molto presto, e a ritrovarmi a fare i conti con limitate disponibilità finanziarie; sarà che i miei studi mi permettono di leggere un’etichetta e capire in modo abbastanza dettagliato cosa si nasconde in un cibo confezionato, sta di fatto che ho maturato un senso del mangiare bene senza sprecare inutilmente il cibo.
Ultimamente, però, mi trovo a discutere sempre più spesso di veganesimo, vegetarianesimo, scelte alimentari etiche e non, più o meno estreme.
Tengo a precisare che io sono onnivora e per varie ragioni, che preferisco non approfondire qui ed ora, ritengo l’essere umano onnivoro, e che non penso esista per puro caso una catena alimentare, anche se non ho la presunzione di credere di esserne in cima; non riesco, quindi, a condividere le posizioni di chi decide di non nutrirsi di carne e/o derivati animali, per quanto le rispetti profondamente, soprattutto se sono maturate da scelte etiche e non dalla moda di un momento.
Mi sono resa conto però che spesso questo rispetto non è reciproco, e anzi, l’atteggiamento comune con cui Vegetariani & Co si relazionano con chi non è Vegan è di superiorità e poca tolleranza nei confronti di chi non condivide le loro scelte, quasi come se ritenessero il loro stile di vita l’unico corretto, anzi l’unico possibile e sostenibile, guardando agli “onnivori” come assassini e nemici del pianeta.
Quando, paradossalmente, quella stessa tolleranza viene invece invocata  a gran voce per se stessi e per la propria scelta di vita.
Eppure non è che tutti coloro che mangiano carne sono “assassini” insensibili verso la salute degli animali e del pianeta. Conosco persone fortemente ecologiste e attivamente impegnate nella salvaguardia degli animali (volontari nei canili, giusto per fare un esempio qualsiasi) che non disdegnano una buona bistecca.
Personalmente non sono insensibile verso tematiche di tipo ambientalista ed animal-friendly, anzi. Solo non ritengo la scelta di eliminare la carne dalla propria dieta l’unica soluzione possibile. Ritengo necessario diminuire il consumo di carne e derivati animali pro capite, e da parte mia cerco di non consumarne più di due/tre volte a settimana, ma vorrei tanto osservare molti di coloro che mi guardano storcendo il naso per la mia alimentazione, spiarli al supermercato mentre riempiono il carrello della spesa. Immagino che molti di loro non si preoccupino minimamente della provenienza dei vegetali che acquistano, non credo che si soffermino a capire se le pesche provengono dalla Spagna o dal Marocco o se sia etico acquistare i pomodori a dicembre o i broccoli a luglio. E quanti di questi si arrabbierebbero nel trovare alle sette di sera gli scaffali delle merci deperibili vuoti o quasi, non pensando che magari il supermercato sta chiudendo e che quegli stessi cibi che non vengono acquistati, con ogni probabilità andranno eliminati.
Personalmente ritengo molto più etico smettere di buttare nell’immondizia la grande quantità di cibo che attualmente sprechiamo, frutta e verdura in primis, sia da parte dei privati che della grande distribuzione; ritengo indispensabile ritornare a rispettare la stagionalità dei frutti: pomodori, zucchine e fragole non devono essere venduti a dicembre, perché non è quella la loro stagione, perché per farli crescere in un clima non adatto implica l’utilizzo di notevoli quantità di energia; acquistare il più possibile a chilometro zero; e infine sì, limitare drasticamente il consumo di carne e progredire verso allevamenti che davvero si preoccupino del benessere degli animali e non li ritengano solamente merci da reddito.
Ovviamente queste sono considerazioni del tutto personali e per questo non condivisibili. Nello scrivere queste righe non mi sono riferita a nessuno in particolare, non avevo in mente nessuna situazione particolare, ma sono riflessioni nate da discorsi, discussioni, situazioni vissute e tante opinioni lette in internet e ascoltate qua e là. Spero nessuno si senta chiamato in causa in prima persona e per questo offeso, e se così fosse me ne scuso… ribadisco il mio massimo rispetto per ogni scelta ognuno abbia compiuto nel corso del cammino della sua vita, anche se non coincide con la mia…
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martedì 9 luglio 2013

bridge climbing



Seconda domenica consecutiva con Gabry a Maccagno. È già passato mezzogiorno anche se siamo appena arrivati. In realtà nemmeno avremmo dovuto essere qui, perché il programma prevedeva Sangiano, ma oggi la strada ci ha fatto brutti scherzi: ci siamo persi l’incrocio dove svoltare e abbiamo involontariamente proseguito ben oltre Laveno. A quel punto tanto valeva arrivare fino a qua.
Dopo una breve via di riscaldamento, per la seconda volta mi trovo faccia a faccia con il 6a del ponte. Particolarissimo questo piccolo settore, nominato “Bridge”: conta solo tre vie, ma queste sono state chiodate sul pilone di, appunto, un ponte; non si scala su roccia, ma su una struttura costruita per altro scopo, dove appigli e appoggi sono le irregolarità dei mattoni. Una specie di urban climbing legalizzato! L’ho già provata in toprope domenica scorsa con qualche resting nella parte alta, ma oggi mi sento in forma, ho voglia di combattere la coniglite e la salirò da uno. Ultimamente va così, scalo a corrente alternata: alcune volte mi sento di azzardare, di rischiare anche su tiri per me duri, altre volte mi blocco su vie incredibilmente facili. Oggi è una giornata buona e voglio provarci.
Osservo dal basso la fila dei chiodi … Sembra lunghissima … Anche se poi, a contarli bene, sono solo sei e la catena.
È cresciuta molta erba nelle fessure tra i mattoni, tanto che quasi non si vedono gli appigli buoni.
Niente panico, non devo trovare scuse, oggi me la sento!
Infilo le scarpette da prestazione, che con questi primi caldi fanno male come se le avessi comprate da pochi giorni, e sono pronta a partire. Mi volto verso il socio, “Vado …” annuncio come al solito, una mia piccola, innocua abitudine.
Inizio a salire, ma dopo pochi movimenti lo sporco sotto le mani mi tradisce, perdo la presa, provo a ravanare un po’ nel disperato tentativo di rimanere attaccata e nel mentre urlo “Cado! Cado!!”. Tutto inutile: oltre all’appiglio perdo anche la posizione d’equilibrio e scivolo giù come un sacco di patate. Non ho ancora agganciato il primo rinvio, ma per fortuna Gabry è attentissimo e mi afferra al volo, impedendomi di precipitare rovinosamente in terra.
Va bene … ricominciamo … con un po’ più di concentrazione.
Salgo e finalmente rinvio il primo chiodo, tiro un sospiro: a terra non ci arrivo più se cado. Anche Gabry si rilassa un po’, non dovendo più fare attenzione a pararmi per impedirmi di farmi male, ma può tornare in “modalità sicura standard” …
Continuo a salire … fischiettando …
Ricordo benissimo questa via: continua e implacabilmente verticale, nessun riposo, si sale sempre in punta di scarpette, e i piedi si distruggono!
Non trovo grosse difficoltà ad arrivare al secondo chiodo e superarlo. Scalo fino al terzo rinvio, lo aggancio e poi devo farmi bloccare. Devo riposare un po’, anche la testa. Alzo gli occhi verso il successivo fittone … oddio, è lontanissimo …
Niente panico, osservo gli appigli e studio la linea da seguire, con calma … un respiro profondo, prendo magnesite e riparto … Uno, due, tre, quattro movimenti e sono al chiodo; prendo un rinvio; lo aggancio; passo la corda e … BLOCCA!!
Ok, fino a qui ci sono! Devo evitare di lasciare partire la testa, devo mantenermi concentrata. Alzo lo sguardo, verso il quinto, che sembra allontanarsi sempre più … so di essere arrivata al pezzo topico della via, so di essere nel punto propriamente di 6a. Osservo il muro, osservo gli appigli. Comincio ad avere un po’ di apprensione. Ha ragione il socio: io penso troppo! Devo salire più “a ignoranza” senza farmi troppe domande, se no la testa mi gioca brutti scherzi. Se penso troppo a quello che faccio, il mio cervello inevitabilmente mi chiede: “che cosa stai facendo?” e subito dopo “torna giù!”.
Dai, proviamo a tirare anche questo pezzo, ad arrivare al quinto chiodo.
Provo a ripartire … BLOCCA! I piedi non rispondono come vorrei, non li sento sicuri per niente. Riprovo … mi appendo di nuovo … ecchecazz … dai Laura che ce la fai! Riparto. Con fatica, molta, arrivo al quinto fittone e lo rinvio!
BLOCCA!! I piedi mi stanno uccidendo! Non ho più sensibilità, nemmeno sulle tacche migliori! Guardo il sesto chiodo, e poi la catena … sono lì, a portata di pochi movimenti, eppure mi sembrano così lontani …
Sento i miei piedi urlare dentro le scarpette improvvisamente troppo strette …
Però ci voglio provare, ci devo provare. Comincio a fare un passo, un movimento, ma non riesco a fidarmi. La testa comincia a mollare, i piedi hanno abbandonato già da un po’. Riprovo, senza troppa convinzione in realtà. Niente, non salgo. Credo di aver chiesto abbastanza a me stessa per il momento.
Guardo giù verso Gabry … “La vuoi fare tu?”.
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