La Liguria ha un fascino indiscutibile, per tutti,
ma per me quella sottile striscia di terra incastrata tra il mare e le
montagne, magistralmente cantata da Montale, ha un significato particolare:
ogni volta che le ruote dell’auto percorrono i chilometri che da Masone portano
alla costa mi sembra quasi di tornare a casa. Lì ho vissuto per più di due
anni, lì ho iniziato a scalare, lì sono stata accolta e coccolata in uno dei
periodi più bui e incasinati della mia vita.
Su questo rifletto mentre percorro il tratto
finale della A26 in un assolato tardo pomeriggio di agosto, al volante
dell’auto del socio storico, diretti a Varazze per una due giorni di campeggio
e scalata. Nessuno di noi due ha, però, intenzione di spendere un euro per
piazzare la tenda in un camping attrezzato, così arrivati sulla costa, deviamo
verso l’interno, salendo le tortuose curve che ci condurranno al Monte Beigua.
La salita verso il Parco mette a dura prova il
motore della Clio di Gabry, evidentemente poco avvezza alle ripide strade
dell’entroterra ligure. Appena superiamo il cartello di inizio del Parco
troviamo una radura a lato della strada che fa al caso nostro. Ci inoltriamo
nella radura, scendiamo dall’auto e … che freddo! Ci saranno sì e no 15 gradi e
noi siamo vestiti molto leggeri …
Velocemente prendiamo la tenda e la montiamo. In realtà il 70% del lavoro lo
fa da sola, con una sorta di esplosione appena la liberiamo dalla cinghia che
la blocca, come se avesse improvvisamente ripreso vita. Che dire, le “2 seconds
– Quechua” rispettano le aspettative!! La posizioniamo sul suo fondo e mentre
Gabry sistema chiodi e tiranti io allestisco l’interno. Perseveranti
nell’ottica del risparmio (tenda prestata, campeggio abusivo, …) niente sacchi
letto, che avremmo dovuto comprare, ma un piumone pesante come materasso, un
cuscino ciascuno e due belle coperte per proteggerci dal freddo. Quando ci
sistemiamo per dormire ci rendiamo conto che la tenda, venduta per quattro persone,
è in realtà comoda per due, ma già tre sarebbero strette, quattro poi …
Alle 22 siamo già a dormire, accompagnati dal frinire
dei grilli, dal richiamo di qualche rapace notturno, e dallo scalpiccio di
qualche non meglio identificato animale (una volpe?) che si aggira incuriosito
nella radura, probabilmente domandandosi cosa ha invaso il suo territorio.
Giorno 1:
Torrioni di Sciarborasca
Ci svegliamo di buon’ora, perché la tenda deve
essere smontata presto, e scendiamo verso Varazze dove ci attende Teo, già sul
posto da qualche giorno. Per la colazione scegliamo un bar nel budello, ma poi
io impongo una sosta per l’acquisto di qualche trancio di focaccia ligure, di
cui uno alle cipolle fa inorridire i miei soci. Scuoto la testa: non
capiscono,la focaccia alle cipolle è una vera delizia!
Con lo stomaco pieno e i viveri necessari per sopravvivere
alla giornata, carichiamo l’attrezzatura sull’auto di Teo e via verso
Sciarborasca. La falesia è molto bella, la roccia è una serpentinite molto
compatta e lavorata, dove non mancano tacche nette e maniglie, e in generale
appigli e appoggi; le vie, molto varie, passano dall’appoggiato allo
strapiombante … insomma ce ne è per tutti i gusti.
Anche l’avvicinamento è piacevole e non troppo
impegnativo, anche se la guida trae un po’ in inganno.
Arriviamo alla base delle vie e, su notevole
insistenza dei soci (non mi lasciano molta scelta), inizio io. C’è una sola via
di 4, ma decido di ignorarla e partire su un 5, e, vista la mia costante lotta
alla paura, opto per una via dal nome, come dire, rassicurante: “Suspiria”.
Nonostante un resting a metà per recuperare la concentrazione riesco ad
arrivare in catena senza attacchi di panico. Per me è già un ottimo risultato!
Teo e Gabry ripetono Suspiria e poi si lanciano
sul 6a accanto: Scibilla. Guardandolo dal basso si intuiva che il passaggio
ostico era centrale, un passaggio molto fisico sotto un tetto, ma l’uscita
sembrava abbastanza ammanigliata. Ci sbagliavamo. Sia Gabry che Teo faticano
molto per passare, io decido di non provarlo neppure.
Ci spostiamo su vie un po’ più abbordabili, due 5c
e mentre io e Teo scaliamo, Gabry si posiziona comodo comodo appollaiato su una
cengia nella più facile via accanto a scattarci foto.
Purtroppo la falesia non è proprio estiva anzi, è
una di quelle che si possono definire “falesie cotoletta”, e verso mezzogiorno
il sole agostano ci investe. Resistiamo fin che possiamo, i miei due soci
provano un 6a molto atletico e poi un 5c molto particolare, che si inoltra in
una specie di camino e si ferma sotto un masso incassato tra le due pareti.
A questo punto il caldo è decisamente troppo,
ritiriamo l’attrezzatura e ci dirigiamo verso Varazze, verso il mare.
Il tuffo in mare è decisamente rigenerante, tanto
che, anch’io che nutro una profonda avversione verso l’acqua, mi azzardo ad
arrivare a nuoto fino alla piattaforma (sì, va beh, mi aiuto con la corda che
la tiene ancorata a riva) tra l’incredulità dei miei soci, e l’ilarità per il
mio non-stile di nuoto. Gabry ne approfitta anche per schizzarmi l’acqua
addosso, visto che a suo dire “potrebbe non ripresentarsi mai più l’occasione e
bisogna approfittarne”.
Dopo un’abbondante cena, premurosamente offertaci
dai genitori di Teo, ci dirigiamo alla “nostra” radura sul Beigua che già è
buio pesto. Velocissimi montiamo la tenda alla luce dei fari dell’auto, anche
perché la notte lassù è fredda e noi siamo ancora umidi di mare, e rapidamente
ci addormentiamo, ignorando che nella radura accanto un’altra tenda abusiva è
stata montata.
Giorno 2: Alpicella
Ci svegliamo di buon’ora e smontiamo in fretta la
tenda, attanagliati dal freddo e dai morsi della fame. Scopriamo così che nella
radura accanto qualcun altro sta campeggiando come noi. Mi spiace pensare di
avere disturbato ieri sera. Ritorniamo a Varazze per una colazione a base di
focaccia ligure, e questa volta non sono l’unica ad esagerare, con la mia
adorata focaccia alle cipolle: Gabry si divora un trancio di focaccia al pesto
e uno di focaccia tipo Recco, tanto per stare leggeri. Oggi ce la prendiamo
comoda e verso le dieci facciamo rotta verso la falesia di Alpicella. Non
riesco a dare un giudizio oggettivo su questa falesia, anche perché abbiamo
scalato davvero poco. La roccia è molto buona, serpentinite molto “grippante”,
le vie molto varie, si va dalla placca agli strapiombi, ai tetti. Però non sono
riuscita a capire se mi piace oppure no. Ho trovato non poche difficoltà su una
via che sulla carta doveva essere facile facile, ma che in realtà era chiodata
da infarto: per rinviare il terzo spit dovevo sollevarmi su un appoggio non
esattamente comodo, con il secondo spit 3 metri sotto i piedi, alla base di una
placca; l’idea che se mi fosse scivolato un piede avrei rotolato per più di sei
metri arrivando forse in terra mi ha fatto tremare i polsi. Dopo un quinto con
una prima parte decisamente non banale, decidiamo comunque di alzare un po’ il
grado, e proviamo un sesto chiodato su una placca che all’apparenza sembra
liscissima, ma sulla quale in realtà c’è tutto quello che serve, e il passaggio
chiave della via è un’uscita da un tettino. Poi Gabry decide di provare un
altro 6a, caldamente consigliato da Teo, un lungo camino strapiombante molto
tortuoso e articolato, ma ben ammanigliato. Io non la provo, faccio solo da “donna grigri”. Oggi non ne ho molta voglia, forse il caldo, forse due notti in tenda, ma sono bollita. Nel frattempo si fanno le due del pomeriggio e, anche se abbiamo fatto davvero poche vie, per noi è arrivato il momento di ritirare tutto e riprendere la strada verso casa, non senza prima una breve sosta per l’ultimo trancio di focaccia.
Salutiamo la Liguria, un po’ stanchi, ma contenti
di questi due giorni trascorsi un po’ “into the wild” e con l’idea di ripeterli
appena possibile.