La Liguria ha un fascino indiscutibile, per tutti,
ma per me quella sottile striscia di terra incastrata tra il mare e le
montagne, magistralmente cantata da Montale, ha un significato particolare:
ogni volta che le ruote dell’auto percorrono i chilometri che da Masone portano
alla costa mi sembra quasi di tornare a casa. Lì ho vissuto per più di due
anni, lì ho iniziato a scalare, lì sono stata accolta e coccolata in uno dei
periodi più bui e incasinati della mia vita.

La salita verso il Parco mette a dura prova il
motore della Clio di Gabry, evidentemente poco avvezza alle ripide strade
dell’entroterra ligure. Appena superiamo il cartello di inizio del Parco
troviamo una radura a lato della strada che fa al caso nostro. Ci inoltriamo
nella radura, scendiamo dall’auto e … che freddo! Ci saranno sì e no 15 gradi e
noi siamo vestiti molto leggeri …
Velocemente prendiamo la tenda e la montiamo. In realtà il 70% del lavoro lo
fa da sola, con una sorta di esplosione appena la liberiamo dalla cinghia che
la blocca, come se avesse improvvisamente ripreso vita. Che dire, le “2 seconds
– Quechua” rispettano le aspettative!! La posizioniamo sul suo fondo e mentre
Gabry sistema chiodi e tiranti io allestisco l’interno. Perseveranti
nell’ottica del risparmio (tenda prestata, campeggio abusivo, …) niente sacchi
letto, che avremmo dovuto comprare, ma un piumone pesante come materasso, un
cuscino ciascuno e due belle coperte per proteggerci dal freddo. Quando ci
sistemiamo per dormire ci rendiamo conto che la tenda, venduta per quattro persone,
è in realtà comoda per due, ma già tre sarebbero strette, quattro poi …
Alle 22 siamo già a dormire, accompagnati dal frinire
dei grilli, dal richiamo di qualche rapace notturno, e dallo scalpiccio di
qualche non meglio identificato animale (una volpe?) che si aggira incuriosito
nella radura, probabilmente domandandosi cosa ha invaso il suo territorio.
Giorno 1:
Torrioni di Sciarborasca

Con lo stomaco pieno e i viveri necessari per sopravvivere
alla giornata, carichiamo l’attrezzatura sull’auto di Teo e via verso
Sciarborasca. La falesia è molto bella, la roccia è una serpentinite molto
compatta e lavorata, dove non mancano tacche nette e maniglie, e in generale
appigli e appoggi; le vie, molto varie, passano dall’appoggiato allo
strapiombante … insomma ce ne è per tutti i gusti.
Anche l’avvicinamento è piacevole e non troppo
impegnativo, anche se la guida trae un po’ in inganno.
Arriviamo alla base delle vie e, su notevole
insistenza dei soci (non mi lasciano molta scelta), inizio io. C’è una sola via
di 4, ma decido di ignorarla e partire su un 5, e, vista la mia costante lotta
alla paura, opto per una via dal nome, come dire, rassicurante: “Suspiria”.
Nonostante un resting a metà per recuperare la concentrazione riesco ad
arrivare in catena senza attacchi di panico. Per me è già un ottimo risultato!

Ci spostiamo su vie un po’ più abbordabili, due 5c
e mentre io e Teo scaliamo, Gabry si posiziona comodo comodo appollaiato su una
cengia nella più facile via accanto a scattarci foto.
Purtroppo la falesia non è proprio estiva anzi, è
una di quelle che si possono definire “falesie cotoletta”, e verso mezzogiorno
il sole agostano ci investe. Resistiamo fin che possiamo, i miei due soci
provano un 6a molto atletico e poi un 5c molto particolare, che si inoltra in
una specie di camino e si ferma sotto un masso incassato tra le due pareti.
A questo punto il caldo è decisamente troppo,
ritiriamo l’attrezzatura e ci dirigiamo verso Varazze, verso il mare.

Dopo un’abbondante cena, premurosamente offertaci
dai genitori di Teo, ci dirigiamo alla “nostra” radura sul Beigua che già è
buio pesto. Velocissimi montiamo la tenda alla luce dei fari dell’auto, anche
perché la notte lassù è fredda e noi siamo ancora umidi di mare, e rapidamente
ci addormentiamo, ignorando che nella radura accanto un’altra tenda abusiva è
stata montata.
Giorno 2: Alpicella


Salutiamo la Liguria, un po’ stanchi, ma contenti
di questi due giorni trascorsi un po’ “into the wild” e con l’idea di ripeterli
appena possibile.
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