Ci sono luoghi che ti
restano dentro, ti entrano nella pelle e impregnano i ricordi in maniera del
tutto inaspettata. Sono quei luoghi dove vai senza grandi aspettative, senza
sapere cosa troverai, e poi ti trovi immersa in un paesaggio maestoso e incontaminato,
di incredibile bellezza.
Come il Parco Naturale
della Serra del Montsant, situato nella provincia di Tarragona, dove si trovano
i siti di arrampicata catalani, e del quale non sapevo quasi nulla al di fuori
del nome di alcuni tiri, famosi per essere tra i più duri al mondo, che ho
scoperto essere un posto di incantevole bellezza, ancora molto selvaggio, dove
i segni dell’antropizzazione sono poco visibili e non impattanti. Nemmeno le
pale eoliche sono fastidiose per gli occhi, checché ne dicano i detrattori.
Siamo in quattro a
partire da Malpensa il 24 aprile all’alba: io, Fabio, Matteo e Laura; ma saremo
in cinque a viaggiare alla volta di Margalef da Barcellona, a bordo di un Caddy
rosso che diventerà l’emblema della vacanza: Maria Luisa, a Madrid per il
progetto Erasmus, ci attende agli arrivi ad El Prat.
Per la prima volta da
quando arrampico con il gruppo di Muro Duro siamo più ragazze che uomini: era
ora!!
MARGALEF
Raggiungiamo l’abitato
di Margalef dopo più di due ore in auto, percorrendo una strada provinciale attraverso
paesi quasi deserti, che sembrano usciti da cartoline messicane. Fermiamo il
Caddy più volte lungo la strada per fare foto al paesaggio, e anche, in ultimo,
sotto il cartello “Margalef” per le classiche foto un po’ turistiche e un po’
goliardiche, sicuramente scontate ma che tanto rendono l’idea del “siamo in
vacanza!”.
Lungo il tragitto scopriamo
di essere arrivati in una specie di parco giochi per climber: c’è roccia
ovunque, da qualsiasi parte si giri lo sguardo: placche, strapiombi, grotte,
tetti quasi impensabili da salire sono ovunque, lungo la strada e attorno al
Racò de la Finestra, il nostro ostello, quello gestito da Jordi Pou. Nonostante
la levataccia e il viaggio di quasi 9 ore, già nel pomeriggio non resistiamo al
richiamo delle falesie e andiamo a mettere le mani sulla roccia, ansiosi di
assaggiare il famoso conglomerato catalano, tanto bistrattato su un numero di
“Pareti”.
Prima di arrivare al
“nostro” settore, camminiamo accanto, e a volte addirittura sotto i forti
strapiombi a buchi, dove sono chiodati i tiri più duri, quelli saliti da
Sharma, Ramonet, Ondra, Iker Pou …
In particolare, essendo
io una “Sharma-lover”, mi soffermo sotto Demencia Senil (9a+), dove provo anche
a toccare il primo buco (come al solito non ci arrivo …) e sotto First Round
First Minute (9b), ovviamente solo per il tempo di farmi scattare un paio di
foto inutili. Più che un avvicinamento alla falesia, per me è un pellegrinaggio
in Terra Santa!
L’impatto con il
conglomerato, almeno per le mie mani, è inizialmente interrogativo ma, poi,
assolutamente positivo: si sa che adoro le placche verticali e/o appoggiate (gli
strapiombi catalani sono oggettivamente troppo duri per noi!), a buchetti,
concrezioni e tacchette, e il conglomerato, da questo punto di vista, è il mio
regno.
Purtroppo riusciamo a
scalare poco perché in breve il cielo si riempie di nuvoloni minacciosi;
facciamo appena in tempo a ritirare l’attrezzatura che un forte acquazzone ci
sorprende. Ci rifugiamo sotto i tetti in attesa che spiova. Fortunatamente un
furgone di svizzeri ci vede, si ferma e offre un passaggio a Teo fino al Caddy.
Solidarietà tra climber!
A Margalef torniamo a
scalare l’ultimo giorno, in un altro settore, e con un vento freddissimo che
sembra divertirsi a darci il tormento; i tiri sono all’ombra e la roccia è
gelida. Il primo tiro è una sofferenza nonostante sia estremamente facile: ho
freddo, male ai piedi e alle mani, non sento le tacche e non capisco se e cosa
riesco a tenere. In più soffro ancora i postumi della sangria della sera
precedente. Appena torno a terra il primo pensiero è: “Per oggi non scalo più”.
Mi stendo al sole e lì rimango per un po’. Lentamente il sole gira e va ad
illuminare e a riscaldare la parete, anche se il vento non si placa. Apro
svogliatamente un occhio e vedo che Fabio e Teo hanno montato la “Rinnegata” su
un quinto e con il mio “Spaghetto” si sono spostati sui sesti. Guardo Laura e
Luisa con fare interrogativo e, anche se nemmeno loro muoiono dalla voglia di
scalare, ci facciamo coraggio a vicenda e ci appropinquiamo al tiro. Inizio io.
La partenza è una bella sequenza di movimenti boulderosi, in leggero
strapiombo, su buchi dolorosi. Salita poco oltre il primo spit arrivo a mala
pena a toccare un buco, ci infilo le dita ma lo tengo male e scivolo giù,
praticamente in terra … cribbio, devo rifare la sequenza da capo! Va beh, il
passo l’ho capito, un po’ in ritardo ma l’ho capito. Riparto e supero il
passaggio. Ho un’altra indecisione poco sopra, quasi all’uscita dello
strapiombo e ho bisogno di un resting per capire la posizione … io sono pippon
in strapiombo … per fortuna sopra è una bella placca e passeggio.
Laura sale molto bene,
con qualche perplessità nella prima parte ma è normale. Luisa, che è diventata
ormai una boulderista e ne ha, eccome se ne ha, passeggia su tutta la via.
Gli uomini ci avvisano
che hanno montato la corda su un 6a, su una parte di roccia molto assolata e calda.
Andiamo a provarlo. È il tiro più bello di tutta la vacanza: verticale,
leggermente appoggiato in alto, a buchetti e concrezioni, uno di quei tiri che
piacciono a me, delicati, di equilibrio, mai di forza. Sarà l’ultimo tiro della
vacanza, un bellissimo congedo dalle falesie catalane.
SIURANA
Il sito di Siurana è un
capolavoro della natura: un ampio canyon lussureggiante di vegetazione, sui cui
pendii si stagliano imponenti pareti di calcare, lisce, lavorate, articolate,
rosse, grigie, gialle, ovunque fino a perdita d’occhio.
Arriviamo a Siurana il
terzo giorno di permanenza, in una giornata che sembra annunciarsi grigia e
fredda. Il cielo è plumbeo, percorso da nubi veloci, trascinate dalle raffiche
di vento che non sono solo in quota ma anche al suolo. Scendendo dal Caddy,
parcheggiato nei pressi dell’abitato, rabbrividiamo: già il giorno precedente,
ad Arbolì, è stato inclemente dal punto di vista meteorologico, con una
giornata tersa ma tormentata da un forte vento freddo che non ci ha dato tregua
per tutto il giorno.
L’idea di prendere
freddo anche oggi fa imbronciare un po’ tutti. Per sollevarci il morale ci
addentriamo nel paesino alla ricerca di un caffè e rimaniamo estasiati: Siurana
è un gioiello, un paesino dall’aria medioevale, completamente in pietra, arroccato
su … su … su … sulla punta più alta del
canyon, dal quale si gode di una magnifica vista. Quella che doveva essere una
veloce pausa caffè si trasforma in un’ora di scatti fotografici più o meno
seri, con buona pace di Fabio che cronometra il tempo perso, minacciando di
farlo recuperare a fine giornata.
Bevuto, infine, il
caffè lasciamo il borgo e ci inoltriamo sul sentiero che ci porta ai settori di
arrampicata, un sentiero che scende inoltrandosi verso il fondo del canyon. Si
cammina tra pareti scoscese, spuntoni di roccia, salti, baselli, terrazze dalle
quali il panorama toglie il fiato. Mi sento come una bambina a Disneyland, con
il naso perennemente in aria per ammirare tutto, per non perdermi neppure un
anfratto, una piega nella roccia, uno scorcio diverso. Anche se poi mi rendo
conto che mettere un piede in fallo potrebbe avere conseguenze fatali, ed è
meglio se guardo dove metto le scarpe. Osservo le vie chiodate sotto i forti
strapiombi di calcare arancione, che mi paiono liscissime e intuisco che quelle
devono essere le linee dei big, e le immense placconate grigie dove non
sembrano esserci appigli. Osserviamo tutti, con un certo sgomento, come il
primo spit sia sempre molto alto.
Alla fine raggiungiamo
anche il settore, l’unico per altro, dove ci sono tiri adatti alle nostre
possibilità.
Iniziamo a scalare che
è quasi mezzogiorno e, quasi magicamente, esce anche il sole: fa subito caldo,
evviva!
La roccia non è
conglomerato ma calcare grigio variamente articolato, decisamente più bello di
Arbolì; i tiri sono molto divertenti anche se mai scontati, tutti da
conquistare. Io salgo sempre per ultima e mi guadagno tutte le manovre in
sosta.
Scaliamo fino alle
sette di sera, poi noi ragazze decidiamo di averne avuto abbastanza, il cielo
si sta rannuvolando e minaccia di nuovo pioggia. Raccogliamo l’attrezzatura e
lasciamo gli uomini ad ulteriori tiri, mentre noi ci avviamo al rifugio per una
birra ristoratrice.
Quando anche Fabio e
Matteo raggiungono il rifugio, sotto la pioggia che nel frattempo ha iniziato a
cadere, decidiamo di fermarci lì per una buonissima cena, innaffiata da
abbondante sangria. Il ritorno verso Margalef sarà uno dei momenti più
divertenti della vacanza.
BARCELLONA
Le ultime 24 ore in
terra catalana le rubiamo all’arrampicata e le dedichiamo al turismo:
carichiamo armi e bagagli sul Caddy e ci trasferiamo a Barcellona.
Arriviamo in città che
è quasi ora di cena e Luisa, che ha un treno per Madrid che parte nel giro di
un paio d’ore, ci abbandona, purtroppo, praticamente subito.
Noi quattro rimasti
raggiungiamo l’ostello, il Sant Jordi Rock Palace che non è un ostello, ma un
tributo alla musica rock, dove ogni piano è dedicato ad un diverso locale
storico, e nell’area comune del primo piano ci sono una collezione di chitarre
e una batteria. Rimaniamo lì giusto il tempo di una doccia e poi via verso La
Rambla, alla ricerca di un ristorante dove mangiare le immancabili tapas,
paella e sangria … siamo turisti!
Dopo la cena facciamo
un rapido giro di Barcellona by night, scendendo La Rambla fino a Plaça
del Portal de la Pau, e da lì al Barrio Gotico; qui, in una vietta laterale,
troviamo una gelateria gestita da italiani, che si dilettano nella produzione
di gelati ai gusti più strani (gorgonzola, basilico, mojito …). Non mi fido e
sto sul classico, cioccolato e crema catalana. Ritorniamo lungo Passeig de
Gracia per vedere Casa Batllò, che di sera, colorata da un sapiente gioco di
luci, è davvero incantevole. Proprio in Passeig de Gracia un losco figuro
tenta, invano, di borseggiare prima me e poi Laura. Fortunatamente tanto è
losco quanto poco è scaltro e noi ci accorgiamo immediatamente delle sue
intenzioni, mandando a monte il borseggio.
La mattina dopo ci
alziamo abbastanza di buon’ora e riposati, perché i letti del Sant Jordi sono
decisamente più comodi di quelli del Racò de la Finestra; dopo aver caricato i
bagagli nel Caddy, iniziamo il giro turistico; gli uomini hanno il monopolio
della cartina, così io e Laura siamo libere di camminare con il naso in aria e
nel contempo chiacchierare, chiacchierare, chiacchierare … raggiungiamo subito
la Sagrada Familia, dove non entriamo perché la fila di gente in attesa è
veramente impressionante. La aggiriamo da fuori, osservandola al meglio delle
possibilità. Peccato avere solo poche ore a disposizione. Riprendiamo il
cammino e passo dopo passo arriviamo fino al Parc Guell e nemmeno in questo
riusciremo ad entrare per la troppa gente.
L’idea è di pranzare a
Barceloneta, perché io voglio a tutti i costi entrare nella Basilica di Santa
Maria del Mar: ho amato troppo il libro di Falcones per non andarci. Ma il
tempo è quello che è, così prendiamo la metro fino al porto. Da lì andiamo alla
Basilica e finalmente io realizzo uno dei miei (tanti) desideri letterari. La
basilica è stupenda: un’immensa costruzione gotica, austera ed imponente come
solo le chiese basso medioevali possono essere; niente fronzoli, niente
decorazioni, niente orpelli, solo la maestosa altezza delle colonne e i giochi
di luce tra le navate.
Soddisfatta la mia “nerdosità”
letteraria, possiamo cercare un posticino per mangiare. Ci avviciniamo il più
possibile al mare, ma le spiagge sono ancora troppo lontane, e dobbiamo
accontentarci di un ristorante nella parte più turistica del porto.
Fermarci, però, ci fa
salire la stanchezza accumulata in cinque giorni intensi di vacanza: dopo
pranzo riprendiamo il cammino verso La Rambla, ma lentamente e con le gambe
pesanti. Riattraversiamo il Barrio Gotico, ma la voglia di camminare si è un
po’ persa, un po’ perché siamo stanchi e un po’ perché sappiamo che la vacanza
è agli sgoccioli; non c’è più nulla che possiamo vedere ad una distanza
ragionevole da dove siamo noi, non ci resta che tornare al Caddy e riprendere
la strada per l’aeroporto.
Catalunya, hasta luego!
Piccole cose buffe:
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Jordi Pou, che non ride mai, non parla mai, la
cui accoglienza è al limite dello sgarbato, che non capisce l’inglese e
preferisce che gli parliamo in italiano … però un suo mezzo sorriso è stato
fotografato … per sbaglio …
-
La sangria del Refugi Siurana … io e Laura
abbiamo apprezzato …
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Il Caddy Pro rosso e la sua autoradio, che
prendeva solo CatMusic, stazione di musica classica, e mai Rock FM … maledetta!
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Il palo della luce, spuntato nella notte
esattamente dietro il Caddy e colpito in pieno da un distratto Matteo … le
facce di Matteo e Fabio dopo lo scontro: impagabili!
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Il vento gelido e la strada tutta curve, che
hanno messo a dura prova il mio stomaco durante tutta la giornata ad Arbolì …
-
Le ginestre che si confondevano con Matteo …
-
Le patatas bravas e le tapas in generale, che
non erano mai abbastanza …
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Il primo spit … sempre troppo alto …
-
Il Sant Jordi Rock Palace Hostel di Barcellona e
il suo draghetto … troppo fighi!
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Il maldestro borseggiatore in Passeig de Gracia:
siamo italiane, non cretine …
-
La sveglia di Fabio …
-
Renata la rana …