lunedì 26 maggio 2014

Catalunya Climbing ... ovvero i nemici dell'astragalo!!



Ci sono luoghi che ti restano dentro, ti entrano nella pelle e impregnano i ricordi in maniera del tutto inaspettata. Sono quei luoghi dove vai senza grandi aspettative, senza sapere cosa troverai, e poi ti trovi immersa in un paesaggio maestoso e incontaminato, di incredibile bellezza.
Come il Parco Naturale della Serra del Montsant, situato nella provincia di Tarragona, dove si trovano i siti di arrampicata catalani, e del quale non sapevo quasi nulla al di fuori del nome di alcuni tiri, famosi per essere tra i più duri al mondo, che ho scoperto essere un posto di incantevole bellezza, ancora molto selvaggio, dove i segni dell’antropizzazione sono poco visibili e non impattanti. Nemmeno le pale eoliche sono fastidiose per gli occhi, checché ne dicano i detrattori.
Siamo in quattro a partire da Malpensa il 24 aprile all’alba: io, Fabio, Matteo e Laura; ma saremo in cinque a viaggiare alla volta di Margalef da Barcellona, a bordo di un Caddy rosso che diventerà l’emblema della vacanza: Maria Luisa, a Madrid per il progetto Erasmus, ci attende agli arrivi ad El Prat.
Per la prima volta da quando arrampico con il gruppo di Muro Duro siamo più ragazze che uomini: era ora!!

MARGALEF
Raggiungiamo l’abitato di Margalef dopo più di due ore in auto, percorrendo una strada provinciale attraverso paesi quasi deserti, che sembrano usciti da cartoline messicane. Fermiamo il Caddy più volte lungo la strada per fare foto al paesaggio, e anche, in ultimo, sotto il cartello “Margalef” per le classiche foto un po’ turistiche e un po’ goliardiche, sicuramente scontate ma che tanto rendono l’idea del “siamo in vacanza!”.
Lungo il tragitto scopriamo di essere arrivati in una specie di parco giochi per climber: c’è roccia ovunque, da qualsiasi parte si giri lo sguardo: placche, strapiombi, grotte, tetti quasi impensabili da salire sono ovunque, lungo la strada e attorno al Racò de la Finestra, il nostro ostello, quello gestito da Jordi Pou. Nonostante la levataccia e il viaggio di quasi 9 ore, già nel pomeriggio non resistiamo al richiamo delle falesie e andiamo a mettere le mani sulla roccia, ansiosi di assaggiare il famoso conglomerato catalano, tanto bistrattato su un numero di “Pareti”.
Prima di arrivare al “nostro” settore, camminiamo accanto, e a volte addirittura sotto i forti strapiombi a buchi, dove sono chiodati i tiri più duri, quelli saliti da Sharma, Ramonet, Ondra, Iker Pou …
In particolare, essendo io una “Sharma-lover”, mi soffermo sotto Demencia Senil (9a+), dove provo anche a toccare il primo buco (come al solito non ci arrivo …) e sotto First Round First Minute (9b), ovviamente solo per il tempo di farmi scattare un paio di foto inutili. Più che un avvicinamento alla falesia, per me è un pellegrinaggio in Terra Santa!
L’impatto con il conglomerato, almeno per le mie mani, è inizialmente interrogativo ma, poi, assolutamente positivo: si sa che adoro le placche verticali e/o appoggiate (gli strapiombi catalani sono oggettivamente troppo duri per noi!), a buchetti, concrezioni e tacchette, e il conglomerato, da questo punto di vista, è il mio regno.
Purtroppo riusciamo a scalare poco perché in breve il cielo si riempie di nuvoloni minacciosi; facciamo appena in tempo a ritirare l’attrezzatura che un forte acquazzone ci sorprende. Ci rifugiamo sotto i tetti in attesa che spiova. Fortunatamente un furgone di svizzeri ci vede, si ferma e offre un passaggio a Teo fino al Caddy. Solidarietà tra climber!
A Margalef torniamo a scalare l’ultimo giorno, in un altro settore, e con un vento freddissimo che sembra divertirsi a darci il tormento; i tiri sono all’ombra e la roccia è gelida. Il primo tiro è una sofferenza nonostante sia estremamente facile: ho freddo, male ai piedi e alle mani, non sento le tacche e non capisco se e cosa riesco a tenere. In più soffro ancora i postumi della sangria della sera precedente. Appena torno a terra il primo pensiero è: “Per oggi non scalo più”. Mi stendo al sole e lì rimango per un po’. Lentamente il sole gira e va ad illuminare e a riscaldare la parete, anche se il vento non si placa. Apro svogliatamente un occhio e vedo che Fabio e Teo hanno montato la “Rinnegata” su un quinto e con il mio “Spaghetto” si sono spostati sui sesti. Guardo Laura e Luisa con fare interrogativo e, anche se nemmeno loro muoiono dalla voglia di scalare, ci facciamo coraggio a vicenda e ci appropinquiamo al tiro. Inizio io. La partenza è una bella sequenza di movimenti boulderosi, in leggero strapiombo, su buchi dolorosi. Salita poco oltre il primo spit arrivo a mala pena a toccare un buco, ci infilo le dita ma lo tengo male e scivolo giù, praticamente in terra … cribbio, devo rifare la sequenza da capo! Va beh, il passo l’ho capito, un po’ in ritardo ma l’ho capito. Riparto e supero il passaggio. Ho un’altra indecisione poco sopra, quasi all’uscita dello strapiombo e ho bisogno di un resting per capire la posizione … io sono pippon in strapiombo … per fortuna sopra è una bella placca e passeggio.
Laura sale molto bene, con qualche perplessità nella prima parte ma è normale. Luisa, che è diventata ormai una boulderista e ne ha, eccome se ne ha, passeggia su tutta la via.
Gli uomini ci avvisano che hanno montato la corda su un 6a, su una parte di roccia molto assolata e calda. Andiamo a provarlo. È il tiro più bello di tutta la vacanza: verticale, leggermente appoggiato in alto, a buchetti e concrezioni, uno di quei tiri che piacciono a me, delicati, di equilibrio, mai di forza. Sarà l’ultimo tiro della vacanza, un bellissimo congedo dalle falesie catalane.

SIURANA
Il sito di Siurana è un capolavoro della natura: un ampio canyon lussureggiante di vegetazione, sui cui pendii si stagliano imponenti pareti di calcare, lisce, lavorate, articolate, rosse, grigie, gialle, ovunque fino a perdita d’occhio.
Arriviamo a Siurana il terzo giorno di permanenza, in una giornata che sembra annunciarsi grigia e fredda. Il cielo è plumbeo, percorso da nubi veloci, trascinate dalle raffiche di vento che non sono solo in quota ma anche al suolo. Scendendo dal Caddy, parcheggiato nei pressi dell’abitato, rabbrividiamo: già il giorno precedente, ad Arbolì, è stato inclemente dal punto di vista meteorologico, con una giornata tersa ma tormentata da un forte vento freddo che non ci ha dato tregua per tutto il giorno.
L’idea di prendere freddo anche oggi fa imbronciare un po’ tutti. Per sollevarci il morale ci addentriamo nel paesino alla ricerca di un caffè e rimaniamo estasiati: Siurana è un gioiello, un paesino dall’aria medioevale, completamente in pietra, arroccato su …  su … su … sulla punta più alta del canyon, dal quale si gode di una magnifica vista. Quella che doveva essere una veloce pausa caffè si trasforma in un’ora di scatti fotografici più o meno seri, con buona pace di Fabio che cronometra il tempo perso, minacciando di farlo recuperare a fine giornata.
Bevuto, infine, il caffè lasciamo il borgo e ci inoltriamo sul sentiero che ci porta ai settori di arrampicata, un sentiero che scende inoltrandosi verso il fondo del canyon. Si cammina tra pareti scoscese, spuntoni di roccia, salti, baselli, terrazze dalle quali il panorama toglie il fiato. Mi sento come una bambina a Disneyland, con il naso perennemente in aria per ammirare tutto, per non perdermi neppure un anfratto, una piega nella roccia, uno scorcio diverso. Anche se poi mi rendo conto che mettere un piede in fallo potrebbe avere conseguenze fatali, ed è meglio se guardo dove metto le scarpe. Osservo le vie chiodate sotto i forti strapiombi di calcare arancione, che mi paiono liscissime e intuisco che quelle devono essere le linee dei big, e le immense placconate grigie dove non sembrano esserci appigli. Osserviamo tutti, con un certo sgomento, come il primo spit sia sempre molto alto.
Alla fine raggiungiamo anche il settore, l’unico per altro, dove ci sono tiri adatti alle nostre possibilità.
Iniziamo a scalare che è quasi mezzogiorno e, quasi magicamente, esce anche il sole: fa subito caldo, evviva!
La roccia non è conglomerato ma calcare grigio variamente articolato, decisamente più bello di Arbolì; i tiri sono molto divertenti anche se mai scontati, tutti da conquistare. Io salgo sempre per ultima e mi guadagno tutte le manovre in sosta.
Scaliamo fino alle sette di sera, poi noi ragazze decidiamo di averne avuto abbastanza, il cielo si sta rannuvolando e minaccia di nuovo pioggia. Raccogliamo l’attrezzatura e lasciamo gli uomini ad ulteriori tiri, mentre noi ci avviamo al rifugio per una birra ristoratrice.
Quando anche Fabio e Matteo raggiungono il rifugio, sotto la pioggia che nel frattempo ha iniziato a cadere, decidiamo di fermarci lì per una buonissima cena, innaffiata da abbondante sangria. Il ritorno verso Margalef sarà uno dei momenti più divertenti della vacanza.

BARCELLONA
Le ultime 24 ore in terra catalana le rubiamo all’arrampicata e le dedichiamo al turismo: carichiamo armi e bagagli sul Caddy e ci trasferiamo a Barcellona.
Arriviamo in città che è quasi ora di cena e Luisa, che ha un treno per Madrid che parte nel giro di un paio d’ore, ci abbandona, purtroppo, praticamente subito.
Noi quattro rimasti raggiungiamo l’ostello, il Sant Jordi Rock Palace che non è un ostello, ma un tributo alla musica rock, dove ogni piano è dedicato ad un diverso locale storico, e nell’area comune del primo piano ci sono una collezione di chitarre e una batteria. Rimaniamo lì giusto il tempo di una doccia e poi via verso La Rambla, alla ricerca di un ristorante dove mangiare le immancabili tapas, paella e sangria … siamo turisti!
Dopo la cena facciamo un rapido giro di Barcellona by night, scendendo La Rambla fino a Plaça del Portal de la Pau, e da lì al Barrio Gotico; qui, in una vietta laterale, troviamo una gelateria gestita da italiani, che si dilettano nella produzione di gelati ai gusti più strani (gorgonzola, basilico, mojito …). Non mi fido e sto sul classico, cioccolato e crema catalana. Ritorniamo lungo Passeig de Gracia per vedere Casa Batllò, che di sera, colorata da un sapiente gioco di luci, è davvero incantevole. Proprio in Passeig de Gracia un losco figuro tenta, invano, di borseggiare prima me e poi Laura. Fortunatamente tanto è losco quanto poco è scaltro e noi ci accorgiamo immediatamente delle sue intenzioni, mandando a monte il borseggio.
La mattina dopo ci alziamo abbastanza di buon’ora e riposati, perché i letti del Sant Jordi sono decisamente più comodi di quelli del Racò de la Finestra; dopo aver caricato i bagagli nel Caddy, iniziamo il giro turistico; gli uomini hanno il monopolio della cartina, così io e Laura siamo libere di camminare con il naso in aria e nel contempo chiacchierare, chiacchierare, chiacchierare … raggiungiamo subito la Sagrada Familia, dove non entriamo perché la fila di gente in attesa è veramente impressionante. La aggiriamo da fuori, osservandola al meglio delle possibilità. Peccato avere solo poche ore a disposizione. Riprendiamo il cammino e passo dopo passo arriviamo fino al Parc Guell e nemmeno in questo riusciremo ad entrare per la troppa gente.
L’idea è di pranzare a Barceloneta, perché io voglio a tutti i costi entrare nella Basilica di Santa Maria del Mar: ho amato troppo il libro di Falcones per non andarci. Ma il tempo è quello che è, così prendiamo la metro fino al porto. Da lì andiamo alla Basilica e finalmente io realizzo uno dei miei (tanti) desideri letterari. La basilica è stupenda: un’immensa costruzione gotica, austera ed imponente come solo le chiese basso medioevali possono essere; niente fronzoli, niente decorazioni, niente orpelli, solo la maestosa altezza delle colonne e i giochi di luce tra le navate.
Soddisfatta la mia “nerdosità” letteraria, possiamo cercare un posticino per mangiare. Ci avviciniamo il più possibile al mare, ma le spiagge sono ancora troppo lontane, e dobbiamo accontentarci di un ristorante nella parte più turistica del porto.
Fermarci, però, ci fa salire la stanchezza accumulata in cinque giorni intensi di vacanza: dopo pranzo riprendiamo il cammino verso La Rambla, ma lentamente e con le gambe pesanti. Riattraversiamo il Barrio Gotico, ma la voglia di camminare si è un po’ persa, un po’ perché siamo stanchi e un po’ perché sappiamo che la vacanza è agli sgoccioli; non c’è più nulla che possiamo vedere ad una distanza ragionevole da dove siamo noi, non ci resta che tornare al Caddy e riprendere la strada per l’aeroporto.
Catalunya, hasta luego!
Piccole cose buffe:
-          Jordi Pou, che non ride mai, non parla mai, la cui accoglienza è al limite dello sgarbato, che non capisce l’inglese e preferisce che gli parliamo in italiano … però un suo mezzo sorriso è stato fotografato … per sbaglio …
-          La sangria del Refugi Siurana … io e Laura abbiamo apprezzato …
-          Il Caddy Pro rosso e la sua autoradio, che prendeva solo CatMusic, stazione di musica classica, e mai Rock FM … maledetta!
-          Il palo della luce, spuntato nella notte esattamente dietro il Caddy e colpito in pieno da un distratto Matteo … le facce di Matteo e Fabio dopo lo scontro: impagabili!
-          Il vento gelido e la strada tutta curve, che hanno messo a dura prova il mio stomaco durante tutta la giornata ad Arbolì …
-          Le ginestre che si confondevano con Matteo …
-          Le patatas bravas e le tapas in generale, che non erano mai abbastanza …
-          Il primo spit … sempre troppo alto …
-          Il Sant Jordi Rock Palace Hostel di Barcellona e il suo draghetto … troppo fighi!
-          Il maldestro borseggiatore in Passeig de Gracia: siamo italiane, non cretine …
-          La sveglia di Fabio …
-          Renata la rana …






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giovedì 1 maggio 2014

Programma di intossicazione da roccia



La Spagna si avvicina, inesorabilmente, e io non mi sento pronta, almeno non come vorrei. Credo di essere migliorata rispetto alla stagione passata, e la falesiata nel Lecchese del 30 marzo sembrava aver confermato le mie impressioni, poi però la giornata a Traversella del 1 aprile mi ha non poco ridimensionata. Ma forse è stata solo una giornata sfigata in un settore sfigato … o almeno così voglio pensare.
Lo scorso fine settimana non ho fatto nulla; niente roccia, solo un po’ di bici e vita sociale. È necessaria anche quella ogni tanto.
Questo weekend, invece, voglio scalare e voglio farlo sia sabato che domenica. Il prossimo, infatti, sarà il weekend di Pasqua, che quest’anno coincide con il mio compleanno, e mi sarà molto difficile riuscire a fare qualcosa.
Il meteo è inizialmente incerto, ma va via via migliorando nel corso della settimana.
Fin da martedì sondo il terreno in palestra alla ricerca di soci. Confido molto nei soci storici, in particolare in Fabio e Teo in procinto di partire con me per la Spagna e sicuramente desiderosi di allenamento; domando un po’ qui e un po’ là e scopro che Maurizio con Guido, Lidia e Chiaretta stanno organizzando un bel gruppone per andare domenica a Galbiate. Non ci penso due volte e decido di aggregarmi anch’io.
Con Fabio, poi, organizziamo il sabato: a Gravellona Toce pare ci sia una nuova falesia appena chiodata. Andremo a cercarla.
Teo decide di fare doppietta come me. Evviva!!
Venerdì pomeriggio ricevo un messaggio su facebook da parte di Debora che vuole unirsi a noi. Rapido giro di messaggi su Whatsapp (benedetta tecnologia!) ed entro sera siamo organizzati anche per il ritrovo: i novaresi si raduneranno poco fuori Veveri, io li intercetterò a Bellinzago.
Quanto fermento! Che bel weekend si prospetta!

Sabato 12: Falesia del Cannone – Ornavasso
Dopo la consueta seconda colazione alla Ibis a Castelletto ci dirigiamo verso Gravellona Toce, alla ricerca di questa nuova falesia. La zona è quella della falesia dei Cavalieri, dove sono stata a Pasqua lo scorso anno con Teo. Strano come le situazioni periodicamente si ripetano, pur involontariamente … stessi luoghi, più o meno lo stesso periodo, più o meno le stesse persone. Quanto è strana la vita …
Parcheggiamo nello stesso posto di un anno fa, sotto i medesimi tre tiri, e guardiamo il cartellone. In realtà la “nuova falesia” non è altro che un ampliamento del settore già esistente, ma con gradi troppo sostenuti per noi. Inoltre sembra pulita sì, ma non troppo. Neppure Fabio è convinto, quindi decidiamo di cambiare e andare alla falesia del cannone ad Ornavasso, una delle falesie lungo la linea Cadorna.
Bella falesia, questa: avvicinamento quasi zero su un comodo sentiero pianeggiante, granito scuro che sembra umido anche se non lo è, molto lavorato e grippante; nella parte bassa i tiri sono verticali e fisici, poi una bella placca di aderenza, solo leggermente appoggiata, da affrontare con movimenti delicati; sullo sfondo l’inconfondibile, frastagliato profilo dei Corni di Nibbio. Suggestivo …
Mi piace molto e mi diverto, per una volta scalo tanto da prima e non patisco la chiodatura, tranne su un passaggio del quarto tiro, che non trovo per nulla banale anche se chiodato almeno a tre metri e mezzo. Faccio il passaggio, una serie di bei movimenti articolati, con un pochino di ansia che mi costringo a tenere a bada ripetendomi come un mantra “devi salire, devi salire, devi salire”, anche se percepisco il chiodo sotto i piedi scendere sempre più giù. Rinvio soddisfatta di me stessa lo spit successivo, soddisfatta per aver tenuto a bada la paura, ma devo appendermi per rifiatare e far riprendere la testa, che c’è, ma ha ancora i suoi limiti. Riprendo fiato e riparto, puntando sempre allo spit successivo e così via fino in catena. In ogni caso sono molto contenta: un passaggio del genere otto mesi fa non avrei nemmeno provato ad affrontarlo, e poi i gradi mi sono sembrati tutt’altro che regalati.
Mi sono sentita salire molto bene, sempre con molto controllo, mai nel panico o in apnea, anche sull’unico tiro molto strapiombante, per quanto ben ammanigliato.
Faccio cordata con Debora tutto il giorno, e rimango stupita di quanto scala bene! Mi dice che sono mesi che non tocca roccia, eppure sale con sicurezza anche da prima. Bravissima! Davvero bravissima!!
Verso le 16 sale un po’ di vento freddo e noi ragazze siamo stanche, io soprattutto mentalmente; concediamo agli uomini ancora due tiri e poi è ora di tornare verso casa.

Falesia Galbiate, settore Quattro Tracce
Sabato sera non disfo nemmeno lo zaino, tanto alle 8.30 di domenica mattina devo trovarmi alla rotonda di Magenta con Maurizio, Guido, Lidia, Chiara e gli altri per andare a Galbiate.
Sono stata solo una volta a Galbiate, al settore Oasi, lo scorso novembre, come ultima uscita della stagione e non mi aveva convinta del tutto. Ricordo la roccia molto unta e una gran fatica nel capire i passaggi, ma forse era solo un periodo no. Decido di non partire prevenuta.
Il gruppo novarese arriva già compattato su una sola auto, così io, Maurizio e Fabio, un Fabio che non conoscevo prima, facciamo auto a parte e partiamo in carovana alla volta del lecchese.
Anche nella zona di Lecco abbiamo il nostro punto di riferimento per la colazione: la pasticceria San Martino, dove ci fermiamo per un veloce cappuccio e brioche; il posto è forse un po’ troppo elegante, con la gente che guarda male noi arrampicatori dall’aria stracciona e multicolore, ma siamo abituati, per lo meno io, e non ci badiamo.
Arriviamo alla falesia parcheggiando alla cava e poi scendendo per un sentiero abbastanza impervio, ma si sa, il lecchese è sempre così, bisogna guadagnarsi le falesie, non solo i tiri!
Il settore Oasi è preso d’assalto, noi siamo già in otto e ci raggiungeranno altre tre persone: dobbiamo spostarci. Arriviamo, quindi, al settore Quattro Tracce, che è deserto. Bene!
Inizio facendo cordata con Chiara, aprirò io i tiri e poi lei deciderà se salirli da prima o da seconda.
Inizio con un 5a, un po’ defilato, che dovrebbe essere “Il gatto e la volpe”… e subito mi trovo a fare i conti con l’unto e un passaggio che non capisco. Buongiorno!
Va beh, in qualche modo, e con qualche scamotto, in catena ci arrivo, ma non pensavo di patire tanto su un 5a!
Chiaretta sale da 2 con un po’ di ravano e dopo questo decidiamo di non fare la via accanto, ma di spostarci su un 4c, “Il rapace”, nella zona dove stanno scalando tutti gli altri, che ci hanno consigliato di ripetere. Il tiro è già montato, quindi lascio salire Chiara, che va decisamente meglio che su “Il gatto e la volpe”, quindi le chiedo di pulirmi il tiro che lo faccio da prima.
Anche per me sembra andare decisamente meglio, tranne un passaggio che non riesco a leggere, con un appoggio molto unto per il piede sinistro sul quale non mi fido a caricare il peso, perché sono già sopra il chiodo; faccio un gran casino, rinviando sul tiro accanto perché non so dove andare, proprio nel momento in cui ci raggiungono Teo e Laura. Abbastanza scontata la battutaccia di Teo: “Grey, fai pure le vie come ti pare! Sentiti libera!” … eh già, ha ragione! Riprendo sulla via giusta e scopro di non aver visto un appiglio dietro lo spigolo a sinistra. Va beh … confermo l’impressione di Galbiate che ho avuto a novembre: non ci capisco molto di questa roccia.
Facciamo la via accanto, decisamente più facile e godereccia, ma nel frattempo si è fatto mezzogiorno, la falesia è inondata dal sole e fa un caldo inverosimile. La roccia scotta sotto le mani e anche i piedi nelle scarpette arrivano al limite della sopportazione. Quando mi calano e rimetto le infradito è decisamente un sollievo.
Mi guardo intorno e vedo ben sette tiri montati: abbiamo colonizzato il settore! Con tutte quelle corde che penzolano dalle catene penso che non valga la pena soffrire per salire da prima. Faccio in sequenza, da seconda, due 5c (“Scende la pioggia” e “pH 5.5”) e un tiro che su una guida è dato 6a e su un’altra 5c (“allalugi”). I primi due molto divertenti e lunghetti, il terzo allucinante per quanto è unto! Per la prima volta provo la tremenda sensazione di puntare le Vapor e sentirle scivolare via … sembra di scalare sul sapone dovendosi tenere con piccole e distanti tacchettine.
Quest’ultima via mi toglie le ultime velleità bellicose e mi dedico al 5a lì accanto, credendolo un tiro plaisir. E invece la partenza è delicatissima, una placca liscia liscia con pochi appigli nemmeno così buoni, difficilmente visibili e dolorosi da tenere con la roccia bollente. Fortunatamente dopo i primi 5 o 6 metri diventa più ammanigliato e si sale. Ma quanta fatica! Mi fermo per quasi un’ora a recuperare forze, concentrazione e volontà di scalare e mi propongo come “donna-grigri”. Assicuro Maurizio su un 6a+, ostico per le temperature elevate, poi Laura su quello che è stato il mio primo tiro della giornata.
Nel frattempo gli altri si sono spostati al settore L’orecchia, che ha la base più in ombra. Lì assicuro di nuovo Maurizio che monta “Il biacco” un 5a lungo e divertente, con roccia ricca di appigli buoni alternati a passaggi con concrezioni più piccole ma molto nette e per nulla unte Lo faccio da seconda, perché sono stanca, con i piedi doloranti e i polpastrelli ustionati. Probabilmente è il tiro più bello di tutta la giornata, peccato fosse l’ultimo.
Siamo tutti troppo bolliti per continuare. Ritiriamo l’attrezzatura e torniamo alle auto, e da lì verso Novara.

Un bellissimo fine settimana, molto buono per le prestazioni su roccia, in particolare sabato, ma anche, e soprattutto, per le persone con cui ho scalato, con la maggior parte delle quali era la prima volta.
Il lunedì mi ritrovo con i polpastrelli rossi, spellati, ustionati, ma ne è valsa la pena.
Spero di replicare presto giornate così, con tutti loro, ma prima … MARGALEF!!!




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