Di ritorno da un
viaggio, da una vacanza, o anche solo da un weekend fuori porta, mi capita, a
volte, di riflettere su quello che quell’esperienza ha lasciato dentro di me.
Impressioni, sensazioni e ricordi si mescolano gli uni agli altri senza
soluzione di continuità, a creare un tutt’uno, come un quadro puntinista che
osservato da lontano sembra un unico soggetto, ma se ci si avvicina ad
esaminarne i dettagli si nota che ogni piccola sfumatura è una pennellata a se
stante. Immagini che ritraggono non solo la vacanza, ma anche tutto quello che
sta attorno, come una sorta di cornice che se non ci fosse, o fosse diversa,
cambierebbe irreversibilmente il sapore dei ricordi.
Spesso, infatti, le
persone si dimenticano che il viaggio non inizia quando si raggiunge la destinazione:
il viaggio inizia molto prima, incomincia con la scelta della meta, la
preparazione, l’organizzazione logistica, e, infine, con l’attesa.
L’attesa è per me la
parte più bella: quel misto di desiderio, impazienza e rassegnazione, quel
contare i giorni che mancano e fremere all’idea di partire. Nessuno mai si gode
l’attesa, tutti sperano che il tempo che li separa dalla partenza passi in
fretta; eppure c’è un che di magico nel tempo che trascorre attendendo ciò che
si desidera, un fremito di vita che riempie le vene, come la sensazione forte
della scoperta di qualcosa di nuovo. È quel momento di stasi, dopo che tutto è
stato organizzato, dopo che i biglietti sono stati comprati e l’alloggio prenotato,
quando tutto è pronto e deve solo arrivare il momento della partenza, e ci si
immagina come potrà essere e ci si informa su cosa vedere, dove cenare. Ecco,
quello è l’attimo che bisogna viversi di più, l’istante immediatamente prima.
E quando finalmente si
parte, anche il tragitto, breve o lungo che sia, ha qualcosa da insegnare; ogni
singolo chilometro percorso merita di essere vissuto e ricordato, per i
paesaggi, i profumi e i colori che porta con sé, per le canzoni caricate
sull’iPod, ascoltate osservando il finestrino di un treno, per le risate
condivise con i compagni di un viaggio in auto, per i silenzi, che spesso hanno
significati molto più profondi delle parole.
Di un weekend trascorso
in Toscana, ho impressa in me, con estrema chiarezza, l’aria di Firenze al
tramonto, appena scesa dal Frecciarossa, così diversa dalla soffocante atmosfera
milanese; se chiudo gli occhi ancora la respiro, così tiepida e profumata,
inondata di una morbida luce dorata, che non colpisce gli edifici con forza, ma
li avvolge dolcemente. E ricordo il disappunto per non avere avuto il tempo di
fare due passi in città e godere appieno di quella bellezza, prima di prendere
la coincidenza.
Ho ancora vivido il
ricordo dell’ospitalità toscana, delle persone incontrate e del loro accento
divertente: il simpatico pasticcere del bar di Cecina, che frequenta un corso
per prestigiatori; i proprietari del Frantoio “Il Casone Antico”, dove ho
consumato un’ottima cena a base di carne alla griglia, olio di produzione
propria, vino toscano: un luogo semplice, senza fronzoli, dove mi sono sentita
accolta come a casa di amici, coccolata come un cliente più che abituale, anche
se lì non ero mai stata.
Bisognerebbe sempre
prestare attenzione ai dettagli, perché sono questi che rendono il viaggio
speciale, non la meta, per quanto esotica o stravagante sia; sono le persone
che viaggiano con noi o che, più o meno accidentalmente, incontriamo lungo il
percorso che fanno sì che la vacanza abbia un’impronta particolare; sono queste
piccole cose che fanno sì che ogni luogo sia unico e anche la meta
all’apparenza meno interessante diventi perfetta nella sua unicità.
Nessun commento:
Posta un commento